Last Updated on 23 Maggio 2022 by Maestra Sara
Chiudete per un attimo gli occhi e provate ad immaginare una versione cartacea di Tim Burton palesemente rivolta ai bambini ed avrete Beatrice Alemagna, cantrice di tutto ciò che può sembrare diverso, strano e storto solo agli occhi di coloro che non hanno il coraggio di avvicinarsi per guardare meglio.
Nata a Bologna nel 1973, Beatrice Alemagna è rapidamente diventata una delle autrici e illustratrici più amate (e premiate) al mondo, grazie ad uno stile assolutamente personale che ha fatto brillare la sua opere come una stella in un cielo indifferenziato.
La sua vocazione cosmopolita e la capacità di porsi controcorrente in modo genuino hanno infatti portato l’autrice romagnola a raggiungere in breve tempo un’ampia platea internazionale e un consenso di critica pressoché unanime.
A rendere unica e sublime la produzione letteraria di Beatrice Alemagna è sicuramente la sua capacità di fondere la componente narrativa a quella iconografica, senza mai dare l’idea che sia stata forzata la mano, in un senso o nell’altro.
Prendendo sempre Tim Burton come esempio (a prescindere dai gusti individuali): il punto di forza del regista è rappresentato dalla sua capacità di creare personaggi che, già da un primo impatto, paiono concepiti proprio per essere i protagonisti delle storie nelle quali vivono.
Anche in assenza di una basilare conoscenza della trama, chiunque osservi un’immagine di Emily (la protagonista de “La sposa cadavere”) può entrare nella natura del personaggio e coglierne quei tratti salienti, legati ad una forte componente emotiva e ad un’insicurezza di fondo, che verranno esplicitati dalla visione del film.
L’abilità di compenetrare la componente iconografica e quella narrativa in un tutt’uno armonico è l’elemento in grado di astrarre un regista (o un autore) dalla specifica vicenda generata e di renderlo alla stregua di un archetipo di “stile”.
Esattamente come possiamo parlare di “stile Tim Burton” in modo chiaro e univoco, anche Beatrice Alemagna riesce a sublimare elementi grafici e narrativi della sua trama in una sorta di universo archetipico, pienamente in grado di venire ricondotto alla categoria dello “stile”, unico e difficilmente imitabile.
La nutrita galleria di personaggi ideati e illustrati da Beatrice Alemagna ha infatti il magico potere di riuscire a comunicare un complesso di sensazioni, rispetto al quale la genesi della storia risulta quasi alla stregua del naturale corollario, proprio come se i cinque Malfatti (ad esempio) esistessero per dar voce a quello che la loro fisionomia lascia intuire.
Tutto ciò è reso possibile a partire dalla ricerca di un tratto artistico che mira a sottrarre volutamente la componente ideale dalla figura, per renderla forse meno “bella”, ma sicuramente più carica di emotività e significato.
I personaggi che animano le storie illustrate di Beatrice Alemagna non sono infatti mai “belli” (secondo i criteri classici riferiti al termine), ma presentano imperfezioni piuttosto accentuate e tratti fisici che li rendono immediatamente vulnerabili e in cerca di protezione.
Ad un primo sguardo, difficilmente il bambino coglie nei personaggi di Beatrice Alemagna una forma ideale alla quale vorrebbe tendere e, forse proprio per questo, si instaura tra lettore e personaggio un processo di identificazione meno marcato, ma più forte.
Se un bambino guarda cioè Spiderman e pensa “vorrei essere così”, il bambino che legge Beatrice Alemagna arriva, già dalle prime battute del libro, a pensare “io sono così”, con tutti i miei limiti e i miei pregi.
Quando il bambino gioca, tende infatti a rappresentare se stesso in forma ideale e ad accomunarsi ad un modello che rimandi alla perfezione l’idea di forza o bellezza, ma quando il bambino riesce a calarsi nei meandri di una storia ben scritta, questo processo viene meno, perché ora il lettore cerca se stesso e un modo per guardarsi all’interno.
Se Beatrice Alemagna ha deciso di sacrificare la componente ideale legata ad una rappresentazione “pulita” e scintillante, non lo ha fatto ovviamente sulla base di un’assenza di qualità artistiche o pittoriche, ma per modellare il messaggio morale delle sue opere in una forma che risulti immediatamente portatrice di valori ed emozioni ben precise.
La rappresentazione di una bambina insicura (si pensi a “Il Meraviglioso Cicciapelliccia”) non può essere identica a quella di una principessa delle fiabe, perché altrimenti la mente del bambino verrebbe tratta in inganno, fino a pensare che quella bambina tanto bella, perfetta e maestosa non possa in realtà essere così fragile e delicata.
Attraverso una sottrazione di attributi estetici e di idealizzazioni astratte, Beatrice Alemagna fa subito capire che la bambina rappresentata non è perfetta, che non ha nulla a che vedere con le eroine dei cartoni animati e che, al contempo, è una bimba “reale” con un mondo interiore tanto forte da dare vita ad una serie di avventure assolutamente fuori dal comune.
Dal punto di vista legato strettamente a trame e contenuti, Beatrice Alemagna rappresenta una delle poche voci fuori dal coro in un mondo che ha fatto della ricerca della perfezione, dell’identificazione tra essere e fare e del consumismo fine a stesso il suo fine ultimo e la sua ragion d’essere.
Se l’universo iconografico legato a spot televisivi, a social networks o a talent shows ci trasmette in continuazione messaggi e input di tipo competitivo (“ottieni più like”, “posta più foto di te stessa”, “cerca di essere il migliore in quello che fai”), Beatrice Alemagna se ne va a testa alta in direzione ostinata e contraria, spiegando al bambino come le vere qualità non possano essere misurate da interazioni sociali, numero di applausi e giurie improvvisate.
Il possesso del proverbiale “buon cuore”, la capacità di ridere di se stessi, l’accettazione di quei limiti che compongono la natura di ognuno di noi e l’empatia verso il prossimo rappresentano, nell’universo di Beatrice Alemagna, i valori fondanti del genere umano e le qualità in grado di dare senso alla vita.
La dicotomia tra i Cinque Malfatti e il Perfetto non è altro che l’esplicitazione di uno scontro ideale che pervade tutta l’opera della Alemagna; uno scontro tra la ricerca di un ideale irraggiungibile (e di fatto inesistente) e l’accettazione delle propria natura.
Tutto questo non si traduce in un invito a giacere passivamente sui nostri difetti o a considerare l’apatia alla stregua di una virtù, ma a comprendere come la finitudine rappresenti una caratteristica inalienabile del genere umano e un elemento che può essere sublimato solo quando lo comprendiamo fino in fondo e riusciamo a riderne di gusto.
Al contrario, la Perfezione, intesa come ideale solipsitico e autosufficiente, non è che una chimera, utile solo a nascondere la proverbiale polvere sotto il tappeto e ad alimentare un senso di repressione e autocensura destinato a farci esplodere da un momento all’altro.
Leggendo le opere di Beatrice Alemagna ai bambini si può trasferire ai piccoli lettori un patrimonio umano in grado di accompagnarli durante le fasi della crescita e di farli riflettere a fondo su chi sono realmente e a cosa aspirano.
Beatrice Alemagna, opere consigliate
Per chiunque volesse avvicinarsi all’universo di Beatrice Alemagna per la prima volta, è quasi impossibile non partire dai suoi grandi “classici” “Il meraviglioso Cicciapelliccia” e “I Cinque Malfatti”; non tanto per via di una maggior importanza dei suddetti libri, quanto per la loro capacità di racchiudere l’intera poetica dell’autrice e di porsi quasi alla stregua di un manifesto programmatico per opere di successiva lettura.
I due grandi capolavori della Alemagna chiariscono cioè al lettore neofita le peculiarità dello stile, del contenuto morale e del messaggio tramandato dall’autrice, fornendogli una chiave di lettura per interpretare e capire gli altri libri, oppure, al contrario (in caso di improbabile mancato apprezzamento), scoraggiandolo dal proseguire oltre.
In caso invece, abbiate già confidenza con le “opere maggiori” di beatrice Alemagna e vogliate approfondire la conoscenza dell’autrice-illustratrice, consiglio vivamente “Un grande giorno di niente”; splendida parabola sull’eterno conflitto che vede contrapposti noia e immaginazione.
1.Il Meraviglioso Cicciapelliccia
Forse l’opera più nota di Beatrice Alemagna, Il Meraviglioso Cicciapelliccia è un lungo viaggio di formazione alla scoperta di se stessi, in cui la verità nasce dal confronto con gli altri e in cui la solidarietà e i buoni sentimenti rappresentano quasi un corollario al processo di ricerca.
Storia di una bambina “senza qualità” che decide di fare un regalo straordinario a sua mamma, Il Meraviglioso Cicciapelliccia conduce il piccolo lettore alla scoperta di uno scenario urbano intimo e segreto, dove negozi, vie e angoli bui rispecchiano l’interiorità della piccola protagonista lungo un complesso gioco di specchi.
La capacità di legare un suggestivo scenario esteriore agli stati d’animo della protagonista rende Il Meraviglioso Cicciapelliccia alla stregua di un capolavoro senza tempo, in tutto e per tutto assimilabile ai grandi classici della letteratura “adulta” e ad opere ampiamente celebrate da stampa e critica mondiale.
Dolce e raffinato, tanto nelle immagini, quanto nella scrittura, Il Meraviglioso Cicciapelliccia rappresenta probabilmente il punto d’inizio ideale dal quale partire con la lunga esplorazione dell’universo semantico e morale di Beatrice Alemagna.
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2.I Cinque Malfatti
Quasi il manifesto programmatico dell’autrice romagnola, I Cinque Malfatti è un’opera molto sottile e, al tempo stesso, molto diretta che mostra al lettore, fin dalle prime battute, la netta dicotomia presente tra l’imperfezione e un’assurda ricerca delle perfezionismo fine a se stesso.
I cinque bizzarri individui che danno il titolo all’opera, trascorrendo il loro tempo in attesa che succeda qualcosa, sono infatti l’allegoria di un universo morale che si ritiene “sbagliato” solo in virtù di un improbabile confronto.
Proprio attraverso il confronto con la loro nemesi, Il Perfetto, I Cinque Malfatti traggono dal loro interno la forza necessaria per accettare la loro condizione con un sorriso e per essere finalmente lieti della loro natura, senza volerla a tutti i costi pervertire.
Se anche voi, come De Andrè, non siete ancora riusciti a comprendere esattamente quanto merito ci sia nella virtù e quanto errore risieda nel vizio, questo libro fa decisamente al caso vostro.
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3.Un grande giorno di niente
Un grande giorno di niente mostra al bambino come l’impiego attivo dell’immaginazione possa trasformare il mondo esterno e rompere la passività di narrazioni o stimoli sensoriali semplicemente subiti (in questo caso, un videogioco).
Anche qui, tuttavia, la storia non è che il pretesto per dar vita ad un universo iconografico del tutto nuovo e non convenzionale, in cui la fantasia è la chiave d’accesso ad un mondo intimo dove il bambino è investito da un insieme di emozioni che non possono essere trasmesse a livello verbale, né condivise fino in fondo con il mondo degli adulti.
L’elemento saliente di “Un grande giorno di niente” non è infatti tanto la scoperta della Natura e del potere dell’immaginazione, quanto l’accesso ad un mondo interiore che definisce la sfera intima del bambino; un mondo che è proprietà esclusiva dell’infanzia e che non può venire confinato in una forma verbale.
4.Un Leone a Parigi
Sottile fiaba moderna che affronta le tematiche legate a preconcetti, integrazione ed emarginazione in modo meno diretto e molto più mediato.
Storia di un leone che, stanco di vivere nella savana, decide di trasferirsi a Parigi, il libro riprende infatti i temi e i toni cari all’autrice bolognese trasponendoli in un immaginario narrativo, tipico della prima infanzia, in cui il filtro rappresentato dal ricorso al mondo animale, in qualità di metafora, produce una sorta di “identificazione debole” che porta il bambino ad interiorizzare i concetti del libro senza viverli in prima persona.
Se di solito Beatrice Alemagna percorre altre vie e decide di basare le sue storie su una forma di identificazione forte, “Un leone a Parigi” mostra come l’autrice si trovi perfettamente a suo agio anche con l’impiego di un’iconografia del tutto differente.
Più unica che rara, Beatrice Alemagna rappresenta dunque una tappa fondamentale nel lungo percorso emotivo tracciato con i libri e attraverso i libri e un’autrice fuori dal coro, in grado di aprire ai bambini interi universi emotivi, altrimenti destinati ad esistere solo in forma latente.
Le quattro opere che ho voluto passare in rapida rassegna rappresentano un ottimo punto di avvio per iniziare a conoscere l’autrice romagnola partendo dai suoi più grandi successi editoriali, per poi magari proseguire con un approfondimento più dettagliato.
Convinta che le letture suggerite possano dischiudere davanti ai vostri occhi interi mondi narrativi fino ad ora inesplorati, vi lascio alla lettura dei piccoli capolavori composti da Beatrice Alemagna e alla necessaria riflessione su quella “normalità” che si fa via via più impalpabile, pagina dopo pagina.