Last Updated on 20 Marzo 2019 by Maestra Sara
Opera del genio di Stephanie Blake, Caccapupù è un testo davvero originalissimo che rilegge gli archetipi della fiaba classica con l’intento di aiutare i bambini ad impiegare le loro abilità linguistiche in modo corretto e a comprendere come le differenti espressioni verbali debbano necessariamente trovarsi correlate ad uno specifico ambito.
La breve favola che anima la narrazione di Caccapupù è infatti funzionale a portare il bambino a riflettere sul modo in cui si relaziona al linguaggio e sul modo in cui impiega il linguaggio in un determinato contesto sociale.
Non appena i bambini imparano a parlare in modo compiuto, accade spesso che i piccoli tendano a ripetere la stessa frase fuori contesto o a voler impiegare una sfera semantica legata alle funzioni corporali (Caccapupù ne è un lampante esempio) con l’intento di esprimere rifiuto in modo acritico o di impressionare gli adulti (come se la cosa fosse davvero possibile!).
Il coniglietto protagonista del libro è, in quest’ottica, una sorta di caricatura di una serie di atteggiamenti ben presenti in tutti i bambini e della naturale propensione dei piccoli a ripetere qualcosa, possibilmente “volgare”, fino alla nausea.
Il coniglio Simone, volenteroso di pronunciare l’espressione “Caccapupù” in qualunque contesto e fino alla sfinimento trova, nel corso della narrazione, il suo contrappasso e proprio dal “castigo” apprende come le espressioni verbali rivolte ad indicare rifiuto e scherno abbiano un senso solo se riferite all’adeguato contesto e come il loro impiego acritico finisca per depotenziarne la valenza.
Il coniglietto Simone, redento dalla sua disavventura, non smette cioè di impiegare espressioni cariche di scherno e diniego, ma ne limita l’utilizzo a quei contesti in cui le suddette espressioni hanno effettivamente un senso e veicolano quel messaggio di rifiuto che il bambino intende mandare.
Attraverso il breve viaggio di formazione, il piccolo Simone capisce infatti come la ripetizione continua di frasi ed espressioni svuoti le espressioni stesse del loro reale significato, smetta di colpire nel segno e si trasformi in una sorta di litania priva di referente.
Caccapupù, storia di una frase ripetuta una volta di troppo
Caccapupù è la storia di un piccolo coniglio che, ogni volta in cui viene interpellato dai genitori, risponde con la laconica e provocatoria espressione che dà il titolo al libro, senza aggiungere alcuna forma di spiegazione o giustificazione alla sua ossessiva ripetizione.
Ogni mattina, quando la mamma lo sveglia, il coniglio risponde :”Caccapupù” e la cosa si ripete quando il papà lo invita a mangiare gli spinaci o la sorella maggiore gli suggerisce che è giunta l’ora di fare il bagnetto.
Un bel giorno (poi non così bello, a dire il vero), il coniglio si imbatte in un feroce lupo che gli chiede, senza mezzi termini, se può mangiarlo.
Senza esitare, il piccolo protagonista del libro risponde con la consueta espressione Caccapupù; percepita dal lupo come una sorta di autorizzazione a procedere e come il via libera per poter fagocitare il coniglietto.
Dopo aver mangiato il coniglio, il lupo ritorna a casa dalla moglie e quando lei cerca di fare conversazione con lui, il predatore risponde con uno spiazzante Caccapupù; inequivocabile segnale di un malessere incombente, dovuto alla “cena” di poco prima.
Quando il lupo inizia a stare davvero male, chiede il parere di un medico che, per una fortuita coincidenza, è proprio il padre dell’inverecondo coniglietto da poco divorato.
Riconoscendo suo figlio dalla sua consueta espressione, che si fa strada dalla pancia del lupo fino alla bocca, papà coniglio estrae ancora intero suo figlio dal ventre del predatore e gli dice di essere contento di vedere il suo piccolo “Caccapupù” sano e salvo.
In quel momento, il coniglietto dice a suo padre che non c’è alcuna ragione per chiamarlo così, dato che il suo nome è Simone e che non intende essere chiamato Caccapupù.
Nei giorni successivi, Simone risponde coerentemente alle domande che gli vengono poste, riservando un laconico e irrisorio “pruuuut” (onomatopeica per una pernacchia) alle situazioni che non gli aggradano, come lavarsi i denti.
Caccapupù, una fiaba linguistica
Ideale da leggere nella fascia di età compresa tra i due anni e mezzo e i quattro anni, Caccapupù è davvero un ottimo testo, che abbina gli schemi di una favola ad una seria riflessione sulla linguistica e sull’impiego del linguaggio orale durante l’infanzia.
Specchio fedele di tutti quei bambini che, pur sapendo parlare, decidono di rinchiudersi in una serie di errori semantici e di ripetizioni fini a loro stesse, il libro può venire agevolmente impiegato per chiarire, in modo embrionale, la natura del linguaggio e la sua reale funzione.
Parlare significa essenzialmente comunicare ed è fondamentale che il bambino, mentre impara a comporre parole e frasi, impieghi le sue conoscenze per dare voce suo universo emotivo e non cercare di sfidare il mondo esterno con frasi ingiuriose o prive di senso.
Il catartico finale fa comprendere al piccolo lettore come espressioni di scherno e versi onomatopeici non debbano essere esclusi dalla sfera linguistica infantile, ma debbano semplicemente venire ricondotti alla loro naturale destinazione, affinché riacquistino il loro vero valore.
Vivamente consigliato durante le fasi che conducono allo sviluppo completo della linguistica, Caccapupù è un libro davvero azzeccato, in virtù della sua capacità di divertire e far riflettere, strappando un sorriso a grandi e piccini per via di quelle espressioni che non smettono mai davvero di imbarazzare, quando usate al momento opportuno.
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