Last Updated on 15 Maggio 2018 by Maestra Sara
Sabato scorso, spinta dalla curiosità e dal proselitismo della critica di settore, ho finalmente acquistato Cappuccetto Rosso di Bethan Woolvin, opera che mira esplicitamente alla rilettura della fiaba classica in chiave neo-femminista.
Prima di recensire il suddetto libro, vorrei (data la spinosità della questione) aprire una parentesi enorme, volta a separare l’ottimo libro da tutti i pessimi moventi che lo hanno generato e a chiarire, una volta per tutte, quanto considerare le fiabe “sessiste” risulti assurdo; almeno quanto tacciare l’Iliade di misoginia, le favole di Esopo di incitamento al bracconaggio o la serie tv Friends (è successo davvero) di omofobia.
Per chi si fosse perso (beato lui o beata lei, per la parità di genere!) le puntate precedenti dell’annosa diatriba; il tutto prende il via nel lontano 2015, quando la ministra dell’istruzione francese decreta, senza mezze misure, che le favole classiche offrono rappresentazioni della figura femminile stereotipate e che andrebbero, per tanto, evitate.
Secondo la novella Robespierre, persino la povera Cappuccetto Rosso rientrava nel novero dei libri da mettere all’indice, essendo portatrice di chissà quali anti-valori e dis-valori; tutti finalizzati alla subalternità femminile nella società e al reiterarsi di una visione del mondo maschio-centrica.
Come spesso accade, al tempo di un’era dominata dalla chiacchiera e dal pettegolezzo, anziché trasformarsi in un pretesto per farsi due risate, le parole della (ex) ministra hanno dato vita ad una schiera di adepti improvvisati, tutti pronti a lapidare Cappuccetto Rosso con hashtags, cancelletti e parole altisonanti.
Prima di introdurre la pregevole opera della Woolvin, mi preme dunque chiarire come parlare di “fiabe sessiste” rappresenti un semplice assurdo logico e un sofisma privo di qualunque valore ontologico e morale; utile (al massimo) a riempire di tweet le noiose giornate di pioggia o ad alimentare fiumi di parole proferite da chi, generalmente, le fiabe in questione non le ha mai lette davvero.
Ma le fiabe classiche sono sessiste?
Tanti anni fa, mi toccò in sorte un penoso libro di un sedicente filosofo (non ricordo né il nome, né il titolo, per mia fortuna) che cercava di rileggere l’opera di Platone secondo i canoni del pensiero del ‘900, fornendo una grottesca visione del pensatore greco filtrata attraverso Heidegger, con tanto di categorie ermeneutiche applicate ai miti platonici.
Ora, risulta evidente a chiunque che, per quanto portino in dote componenti universali, Platone e Heidegger sono figli della loro epoca storica e che risulta privo di senso leggere il primo alla luce del secondo, dato che il fluire dei secoli e del contesto culturale li divide in modo marcato.
Con sommo orrore, la trovata del “filosofo che parlava a Platone con i Da-sein e con le Cure” pare essersi trasformata in una sorta di costante universale e pare che tutti i noi dobbiamo per forza rileggere la storia del pensiero umano alla luce dei canoni estetici e morali attuali, emettendo condanne tanto sommarie, quanto poco logiche.
Il termine “sessista” trova infatti la sua piena applicazione nel contesto storico contemporaneo; un contesto in cui, fortunatamente, alle donne vengono (o dovrebbero venire) offerte le stesse possibilità degli uomini, dove una donna può felicemente diventare Primo Ministro, Astronauta, Scienziata o Archeologa, senza che a nessuno sano di mente venga l’idea di storcere il naso o di proporre obiezioni.
“Sessista” è, in tal senso, tutto ciò che si oppone a questa tendenza e che vorrebbe ridurre le donne ad un ruolo di subalternità morale, materiale o economica rispetto agli uomini e discriminare così la componente femminile sulla base della sua stessa essenza, senza che altri moventi sopraggiungono.
Risulta per tanto più che legittimo, a mio avviso, che le opere per l’infanzia concepite in questa epoca storica si rivolgano alle bambine invitandole a credere nei loro sogni e a considerarsi come artefici del loro destino, come ad esempio fa egregiamente il best seller Storie della buonanotte per bambine ribelli.
Tuttavia, è presunzione tipica degli adolescenti (e soprattutto degli eterni adolescenti) ritenere che il mondo inizi con loro e pensare, di conseguenza, che tutto ciò che li ha preceduti non risulti meritevole di attenzione o debba venire marchiato secondo canoni di lettura anacronistici.
Le favole classiche sono figlie del loro tempo e all’interno di esse vanno lette e vissute: quando Esopo, Fedro, Andersen o i fratelli Grimm scrivevano, lo facevano relazionando la ricerca di tratti universali all’epoca storica in cui erano nati cresciuti e non potevano fornire ritratti della figura femminile differenti, semplicemente perché nessuno di loro poteva prevedere l’evoluzione del tessuto sociale nei secoli a venire.
Se cerchiamo di inquadrare il passato all’interno della nostra ottica attuale, ne conseguirà necessariamente una condanna totale per qualunque (o quasi) opera scritta prima del nostro arrivo sul Pianeta Terra e la consapevolezza che tutto ciò che scriviamo oggi verrà un giorno condannato dalla posterità, dato che (come sosteneva De Andrè), basta spostarsi un attimo nello spazio e nel tempo per comprendere quanto i nostri “valori assoluti” siano in realtà relativi e mutevoli.
Se prendiamo in mano un libro a caso e cerchiamo di inquadrarlo nei nostri canoni attuali, ci ritroveremo immediatamente a pensare che l’Antico Testamento è un testo misogino, che Shakespeare era uno scrittore antisemita, che Dante era un bigotto e persino che Leopardi si trovava vittima di un impulso amoroso grottesco, che lo portava a vedere la donna come oggetto da conquistare attraverso mille smancerie.
Dunque, o ci ergiamo sommi giudici (da tastiera) della cultura umana, oppure cerchiamo di comprendere che le opere del passato non vanno mai condannate per i loro contenuti “scabrosi”, ma solo contestualizzate.
Leggere i grandi libri attraverso il filtro della loro storicità ci aiuta infatti a comprendere meglio il nostro lungo cammino e a capire come le nostre conquiste sociali non provengano da Twitter, ma da un percorso storico fatto di tappe intermedie, rivoluzioni e reazioni e da una perenne ricerca di equilibrio.
Il discorso vale anche per le favole classiche: smettere di leggere fiabe ai bambini perché qualcuno le ha tacciate di sessismo è una benemerita scemenza.
Le favole continuano ad essere un indispensabile patrimonio della nostra storia ed è sufficiente contestualizzarle e abbinarle ad opere moderne per distillarne i loro valori universali, a prescindere dall’epoca storica della loro prima ideazione.
Ai roghi di libri, che non mi sono mai piaciuti, sarebbe opportuno sostituire un minimo di disamina critica, per spiegare ai bambini la natura dei contesti e dei cambiamenti che sono occorsi nel corso dei secoli, senza pregiudizi o censure di sorta.
Cappuccetto Rosso non è “sessista” nemmeno con tutta la fantasia del mondo
Proverò ora a fare un breve esperimento mentale e a cercare di calarmi nei panni dei Grandi Inquisitori moderni per comprendere se, davvero, Cappuccetto Rosso possa essere considerata una fiaba “sessista” e meritevole di censura.
Anche dopo aver letto Cappuccetto Rosso con gli occhi da invasata, tipici di chi crede di poter piegare secoli di storia al suo mutevole giudizio, continuo tuttavia a non trovarci davvero nulla di diseducativo o di maschilista.
Cappuccetto Rosso è infatti la rappresentazione di un’infanzia pura, a prescindere dal sesso della protagonista; un’infanzia in cui siamo portati a dare la proverbiale confidenza agli estranei e a credere che il mondo sia composto, in toto, da persone in buonafede e pronte ad aiutarci.
Con la sua gentilezza d’animo, il suo buon cuore, il suo candore e la sua cura per gli altri, Cappuccetto Rosso è in ogni bambino presente al mondo e rispecchia la naturale tendenza dei più piccoli a fidarsi dei “grandi” e a ritenere impossibile l’esistenza dell’inganno e della malafede.
Cappuccetto Rosso è sprovveduta e disarmata non in quanto femmina, ma in quanto bambina, tant’è che sua mamma (femmina anch’essa) è invece pienamente cosciente dei pericoli del mondo esterno ed offre alla bimba una validissima guida per non perdersi nel bosco.
Se Cappuccetto Rosso contravviene alle norme materne e decide di seguire il suo istinto, lo fa a prescindere dalla sua femminilità (e dal suo presunto ruolo sociale subalterno), semplicemente perché attratta dal bosco, dai fiori, dal desiderio di scoperta e dalle suadenti parole del lupo stesso, archetipo di tutti gli ingannatori del mondo.
Chi accusa Cappuccetto Rosso di sessismo, lo fa dunque con le proverbiali fette di salame sugli occhi, probabilmente senza aver mai letto nemmeno la storia, spinto dalla frenesia di voler distruggere tutto in un afflato che di rivoluzionario non ha davvero nulla.
Cappuccetto Rosso è una splendida parabola sulla gentilezza dei bambini e probabilmente riuscirà a sopravvivere per secoli e secoli ai roghi virtuali, allestiti per compiacere un senso di politically correct ormai sfuggito di controllo persino ai suoi stessi ideatori.
Cappuccetto Rosso di Bethan Woolvin
Terminato il mio infinito pamphlet in difesa delle fiabe (chiedo scusa se vi ho annoiato), eccoci dunque al movente della questione e a trattare Cappuccetto Rosso di Bethan Woolvin con tutto il rispetto che merita.
Cappuccetto Rosso di Bethan Woolvin è una divertente rilettura della favola classica, in cui la piccola protagonista si trova pervasa da un temperamento piuttosto sveglio e focoso, distante anni luce dalla sopracitata gentilezza della bambina originale.
Accade così che, fin da un primo sguardo, Cappuccetto Rosso si fidi gran poco delle ingannevoli parole del Lupo cattivo e che, una volta giunta alla dimora della nonna, individui in pochi secondi l’espediente messo in atto dal predatore per cercare di irretirla.
La storia si conclude, logicamente, senza il bisogno dell’intervento del Cacciatore, dato che Cappuccetto Rosso provvede da sola ad uccidere il lupo, a scuoiarlo e a cucirsi una pelliccia che le terrà caldo mentre attraversa il bosco di ritorno verso casa.
Ora, gli invasati che accusavano Cappuccetto Rosso di “sessismo”, probabilmente troveranno questa rilettura come una becera parabola anti-animalista, cadendo vittime dei loro stessi pregiudizi e dei loro stessi turbini emotivi e dando il “la” ad un’ulteriore revisione, con magari un robot al posto del lupo (vi prego, non fatelo, stavo solo scherzando!).
Prendendo invece (finalmente) il libro per quello che è e spogliandolo di orribili moventi censori, l’opera è davvero pregevole, molto ben disegnata, estremamente scorrevole e in grado di suscitare risate divertite anche nei più piccoli.
Estratta dal suo folle contesto storico e dai folli moniti delle ministre francesi, Cappuccetto Rosso di Bethan Woolvin è infatti un’ottima parodia, che ironizza su una vicenda considerata spesso spaventosa dai più piccoli e che invita i piccini a non farsi ingannare dai lupi che popolano il mondo.
Da leggere solo quando il bambino ha ben chiara la trama originale (e non in alternativa), Cappuccetto Rosso di Bethan Woolvin può dunque prestarsi a numerose letture: può essere usata per il suo scopo originale (vale a dire, per instillare fiducia in sé stesse nelle bambine); oppure per sdrammatizzare la tematica del lupo, percepita da molti bambini come fonte di incubi e terrore.
Premiata nel 2016 dal New York Times, Little Red è dunque una lettura vivamente consigliata a tutti coloro che vogliono a loro volta dissacrare in modo ironico le favole classiche, senza per questo sminuirne il valore e la portata morale.
Lettura sicuramente divertente e apprezzata dai bambini, Cappuccetto Rosso di Bethan Woolvin ottiene dunque, da parte mia, un giudizio più che positivo, a patto però che i genitori non la usino come pretesto per deporre le favole classiche e non si ergano giudici della storia della letteratura mondiale; una storia iniziata ben prima di noi e destinata agevolmente a sopravviverci, anche quanto nuovi canoni morali avranno spalancato nuovi orizzonti e noi sembreremo decrepiti e reazionari agli occhi dei nostri pro-nipoti.