Last Updated on 31 Maggio 2022 by Maestra Sara
Prendete qualunque bambino al mondo (possibilmente vostro figlio, non rapitene uno apposta, mi raccomando!) e ponetelo davanti ad un quadro di Paul Klee.
In caso il suddetto bambino abbia meno di cinque o sei anni, probabilmente il piccolo rimarrà estasiato di fronte al manifestarsi di colori, emozioni, metaforici suoni e forme che scaturiscono dal dipinto.
Se il bambino (o bambina, si intende) dovesse invece avere un’età superiore ai sette anni, la reazione dello spettatore muterà drasticamente, dato che i bambini che hanno già imparato a disegnare forme ben definite tendono a rigettare la pittura non figurativa, ritenendola una sorta di “arte minore”, dal momento che non rappresenta nulla di compiuto.
L’acquisizione di canoni estetici netti, durante la primissima infanzia (“una faccia si disegna così!”), porta infatti i piccoli a ritenere che il rigido sistema di norme appena appreso rappresenti l’unica chiave d’accesso all’arte e che, di conseguenza, se qualcuno disegna un volto senza una bocca o con gli occhi apposti su piani palesemente asimettrici, ha semplicemente sbagliato e, per tanto, dovrebbe prendere lezioni di disegno.
In un certo senso, le varie correnti avanguardistiche dell’inizio del secolo scorso (soprattutto nella fase che Tatarkiewicz definì “l’avanguardia militante”), rappresentano proprio un ritorno consapevole al candore della primissima infanzia, alla volontà di lasciare che l’arte sia innanzitutto espressione di sentimenti e ad un mondo fatato dove le regole vengono apprese solo per poi essere superate.
La recente polemica tra Vittorio Sgarbi e Valentina Nappi su cosa sia l’arte (sulla quale non intendo dilungarmi, dato che questo non è un portale di estetica) ha portato, ancora una volta il mondo ad interrogarsi, seppur in maniera triviale, su cosa sia davvero ciò che noi chiamiamo arte e sulla possibile coesistenza tra risultato finale, spinta poetica e tecnica.
Che sorpresa Paul Klee! di Paola Franceschini compie, in quest’ottica, una specie di miracolo visivo, andando ad impiegare il versante “non figurativo” per dar vita ad una trama compiuta, nel corso della quale le variopinte forme ideate da Paul Klee vengono trasfigurate e ricondotte ad un universo semantico netto.
Se desiderate avvicinare i vostri figli al mondo dell’arte, Che sorpresa Paul Klee! rappresenta un ottimo punto di partenza, in virtù della sua capacità di spiegare il mondo delle avanguardie (ormai divenute “permanenti”, sempre per citare Tatarkiewicz) senza mai risultare didascalico, ponendo l’opera del pittore svizzero al centro di una narrazione quasi onirica che ne esplicita la spinta poetica alla base.
Al termine della lettura di Che sorpresa Paul Klee! il bambino intuisce immediatamente l’esistenza di un mondo fatato, in cui la rappresentazione di un oggetto secondo canoni classici non è che uno dei possibili linguaggi attraverso i quali l’animo umano esprime se stesso su foglio o su tela.
Che sorpresa Paul Klee! Un universo di forme e colori
Che sorpresa Paul Klee! è la storia di Erri, “io narrante”, che riceve via posta un invito, da parte di tre amici, finalizzato alla scoperta dell’opera di un misterioso pittore.
Inutile dire che l’artista in questione è proprio Paul Klee e che, una volta raggiunti gli amici in Svizzera, Che sorpresa Paul Klee! lascia via via scivolare la narrazione in direzione di una semplice ed immediata analisi delle opere del celebre pittore.
Molto più complesso da spiegare che da leggere ai bambini, il libro presenta dapprima al piccolo lettore una serie di opere di Klee, per poi sfruttare le sue reazioni emotive per tracciare un profilo dell’artista utile a comprendere il senso, il significato e il significante dell’opera stessa.
Nel profilo tracciato da Paola Franceschini, vengono messi in risalto la passione per l’arte di Paul Klee e la sua capacità di trasferire su tela un’immaginazione talmente fervida da prevaricare ogni schema pittorico e ogni possibile critica rivolta alla sua opera.
Che sorpresa Paul Klee! fornisce al bambino una sorta di “giustificazione” dell’arte non figurativa proprio in quel ritorno all’infanzia che si esprime nella volontà di creare un nuovo stile e un nuovo linguaggio dell’anima, posto in diretta correlazione con la natura e con l’universo dei sentimenti.
Ciò che Klee rappresenta è per tanto, una trasfigurazione dell’oggetto, mediata attraverso il filtro della fantasia e dell’emozione e non una banale copia della “cosa in sé”, senza che questa scelta ponga l’artista su un piano ontologico superiore o inferiore rispetto ai suoi illustri predecessori.
La magia di Klee consiste proprio nel rendere visibile l’invisibile e nel voler creare un ponte tra la sensorialità dell’essere umano; sensorialità che prende spunto dall’elemento visivo per suscitare sensazioni che esulano la vista stessa.
Trattandosi di un’opera incentrato sull’arte, Che sorpresa Paul Klee! è principalmente un libro da guardare e riguardare, prima ancora che da comprendere, e può agevolmente venire impiegato per creare e decostruire nuovi universi agli occhi dei bambini.
Al termine della lettura di Che sorpresa Paul Klee! adulti e piccini compiono un passo significativo verso quel concetto di “arte” che, forse, può solo venire interiorizzato e mai ricondotto ad un insieme di parole o a canoni ben precisi e che, esattamente come nell’opera di Klee si compone di sentimenti, sogni e fantasie; lontani dalle regole nette e persino dalle diatribe sui social networks.