Last Updated on 27 Marzo 2022 by Maestra Sara
Chiunque abbia dei figli, converrà sul fatto che educare i bambini rappresenta una delle attività più complesse del mondo e, sicuramente, quella più soggetta a critiche da parte di esterni e dei diretti interessati; sempre pronti a rinfacciarci la troppa rigidità, la troppa morbidezza, la troppa assenza o la troppa presenza, non appena l’adolescenza comincerà a bussare alle loro porte con impeto simile a quello di un temporale estivo.
Se, quasi in base ad un ossimoro, ripeto spesso che i migliori genitori del mondo sono coloro che non hanno figli e che possono dunque bearsi di un universo didattico meramente astratto, è comunque possibile cercare di educare i bambini in modo coerente e puntuale, senza aver troppi rimorsi, una volta che la fanciullezza sarà fuggita via.
A mio avviso, tralasciando le infinite differenze individuali e il vissuto di ogni bambino, i modi per educare i bambini sono due (e due soltanto) e si trovano ad essere necessariamente complementari.
Educare i bambini con regole e incentivi
Il primo metodo per educare i bambini consiste nell’imposizione di regole e nella capacità di farle rispettare, mediante l’istituzione di un sistema di incentivi e castighi che sia saldo, invariabile e senza deroga alcuna.
Per quanto il bambino tenda a prevaricare per sua stessa natura ogni forma di autorità, non dimenticatevi mai che a voi spetta il potere legislativo, esecutivo e giudiziario sulla vostra casa e non trascurate mai uno dei tre aspetti, altrimenti finirete per rivelare anomalie in un apparato che deve necessariamente essere perfetto per risultare credibile.
Dopo aver reso partecipe il bambino e magari averlo invitato a collaborare attivamente alla stesura di un ipotetico regolamento domestico, bisogna essere chiari nello stabilire che le suddette regole hanno valore universale e che, se il piccolo dovesse trasgredirle, incorrerà nel sistema di castighi ad esso associate, senza “se”, senza “ma” e senza occhioni dolci che tengano.
Per quanto rappresenti, fin dall’alba dei tempi e forse anche prima, la chiave prediletta per educare i bambini, il sistema basato sulla regola porta tuttavia in dote un grave difetto di sostanza, dal momento che rischia di produrre non “bambini educati”, ma bambini che hanno imparato ad osservare assiomi che non comprendono, solo per il timore del castigo.
Il cieco rispetto della regola porta in dote, infatti, il rischio concreto che la regola si trasformi in un dogma e che produca negli anni una sorta di ossequio fine a se stesso, in cui il bambino sa perfettamente che la trasgressione è sbagliata, ma non conosce il fondamento ontologico e teleologico della regola stessa.
In sostanza, se decidiamo che i nostri figli andranno a letto presto, in caso facciano i capricci per non indossare la berretta in inverno, molto probabilmente porteremo i bambini ad indossare il fatidico copricapo senza troppi ostacoli, a capire che indossare il cappellino è giusto, ma non a comprendere le ragioni che avevano generato la regola stessa.
Nel bambino piccolo si formerà dunque un’equazione che parte dalla berretta mancata e si conclude con un pianto disperato a letto, ma non l’equazione che prevede il bambino senza berretta a tremare per il freddo.
Così facendo, il bambino non avrà imparato la vera lezione che doveva apprendere; vale a dire, che la berretta è uno strumento per difendere il suo capo da gelo e che, in assenza di un copricapo, il piccolo rischia di cadere vittima di malanni persino più odiosi del castigo che gli abbiamo inflitto.
Educare i bambini al buonsenso e all’empatia
Ed è qui che entra in gioco il secondo sistema educativo per educare i bambini, quello che ci interessa di più ai fini letterari, vale a dire quello che si fonda sul buonsenso e sull’empatia.
In assenza di reali pericoli per la sua sopravvivenza, si può scoraggiare il bambino da compiere azioni nocive mediante l’apposizione di regole fisse, oppure portarlo a comprendere la natura della nostra ragione, mediante l’esposizione al contatto diretto con le conseguenze della trasgressione.
Anziché proporre al bambino un castigo, in caso si ribelli davanti alla vista della berretta, è tranquillamente possibile (e a mio avviso preferibile) sedersi accanto lui, spiegargli perché è sempre meglio indossare dei copricapi in inverno e cosa potrebbe succedere in caso lui decidesse di fare di testa sua, lasciandogli alla fine la piena libertà di scelta.
Molto probabilmente, il bambino uscirà di casa senza berretta e altrettanto probabilmente, nel giro di pochi giorni si ammalerà (i piccoli hanno un sistema di termoregolazione diverso dal nostro) ed è proprio quando starnutirà come un ossesso che vi guarderà rimpiangendo di non avervi dato ascolto.
Ai suoi occhi voi sarete, mentre gli provate la febbre, coloro che gli avevano “predetto il futuro” e mostrato le conseguenze della sua trasgressione, acquistando così sempre maggior autorevolezza, fino a quando, un bel giorno (dopo molti acciacchi e malanni), il piccolo inizierà a fidarsi di voi senza fare opposizione.
Seguendo questo schema educativo, non avremo prodotto un rispetto delle regole fine a se stesso, ma avremo instillato nei bambini delle gocce di buonsenso, intendendo con il termine la capacità di connettere un’azione ad una determinata conseguenza, anche in assenza di un riscontro diretto.
La persona assennata è infatti quella che si astiene dal compiere un’azione che potrebbe rivelarsi nociva perché prevede in anticipo le conseguenze del suo agire e che, ad esempio, non si lancia da un ponte, perché immagina benissimo quello che potrebbe succedere a seguito della caduta, pur non avendone mai avuto esperienza diretta.
La persona di buonsenso è dunque quella che evita di compiere una determinata azione, a discapito delle tentazioni, perché la sua mente lo porta a comprenderne gli esiti funesti e a soppesare attentamente il valore di un effimero piacere, a dispetto di un tormento decisamente più lungo.
Ovviamente, educare i bambini attraverso il buonsenso è possibile solo in caso di azioni e trasgressioni di piccola entità e sarebbe assurdo lasciare che i nostri figli si alimentassero in modo esclusivo di dolci per mostrare loro la natura funesta del diabete, dell’obesità patologica o delle problematiche cardiocircolatorie destinate a sopraggiungere.
Contraltare e completamento ultimo del buonsenso è invece l’empatia, secondo uno schema che prevede il primo termine “rivolto all’interno” e il secondo orientato verso il prossimo.
Se il buonsenso è quella facoltà che ci consente di giungere all’autoconservazione individuale, l’empatia è quel sentimento che preserva l’intera razza umana, portando il singolo a percepire il dolore altrui come dolore proprio.
Mentre la vocina guidata dal buonsenso urla nella nostra mente: “Non farlo! Potresti soffrirne!”, quella spinta dall’empatia ci ricorda sempre come sia meglio non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi, perché il dolore del prossimo non è poi tanto dissimile da quello che abbiamo provato (o potremmo provare) nel corso della nostra vita.
Anche qui, è ampiamente possibile coltivare la naturale empatia dei bambini, facendo leva sui loro sentimenti e spiegando pazientemente le conseguenze delle loro azioni sugli altri.
Facciamo un esempio: bambino Pietro (nome casuale) si reca in visita dai nonni per il suo compleanno, riceve un regalo non di suo gradimento e mostra il suo disappunto ai progenitori, facendoli rimanere male e ferendo i loro sentimenti.
Ora, è ampiamente possibile, una volta tornati a casa, mettere Pietro in castigo e punirlo per il suo gesto, ma cosa avrete insegnato al piccolo?
Nulla di nulla: Pietro, la prossima volta, tenderà a manifestare entusiasmo per un regalo non gradito, solo per paura di finire a letto presto o di vedersi sottratti i suoi giochi e, una volta sgattaiolato fuori dal giogo parentale, riprenderà a comportarsi seguendo il suo istinto.
Se invece avrete la pazienza di agire tanto sulla sua sfera razionale, quanto sulla sua componente emotiva, spingendolo a percepire la delusione dei nonni come sua, allora gli avrete davvero fatto comprendere che il suo gesto è sbagliato in senso assoluto, a prescindere da qualunque castigo e da qualunque incentivo.
Un metodo per porre i poveri nonni al riparo da ulteriori reclami potrebbe essere quello di spiegare dapprima al bimbo perché le sue azioni abbiano prodotto sofferenza, per poi predisporre una serie di piccole esperienze rivolte a far provare al piccolo la stessa delusione provocata da lui, fingendo, ad esempio, di non gradire un suo gesto gentile.
Laddove regnano il buon senso e l’empatia, le regole diventano quasi superflue, perché la persona assennata ed empatica distingue perfettamente il giusto dall’ingiusto, l’utile dal nocivo e il “buono” dal “cattivo”, prima ancora che i legislatori arrivino a vietare o promuovere un determinato comportamento sociale.
Chiunque abbia un minimo di buonsenso ed empatia, eviterà di rubare, non per la paura delle sanzioni penali alle quali potrebbe andare incontro, in caso il suo furto venga scoperto, ma perché sa che la cosa è intimamente sbagliata e che il pentimento per il riprovevole gesto peserebbe molto di più rispetto alle brevi gioie derivanti dal bottino.
Il discorso può tranquillamente venire applicato all’ambito della puericultura, dato che i bambini non sono affatto stupidi e che, se messi alla prova, possono imparare lezioni di vita in grado di porsi in una sfera morale più alta rispetto a quella rappresentata dal sistema di castighi che avevate previsto per loro.
Tornando all’ipotetico Pietro (e ai suoi ancor più ipotetici nonni), il mio consiglio è quello di punire il bambino solo in caso ripeta il suo odioso comportamento, evitando al contempo di minacciarlo in modo preventivo.
Attendete, dopo avergli spiegato tutto quanto, che si ripresenti un’occasione analoga e valutate le sue reazioni: se Pietro ringrazierà i nonni anche di fronte ad un regalo non gradito, avrete raggiunto il vostro obiettivo; in caso dovesse invece ferire nuovamente la loro sensibilità, punitelo pure, spiegandogli tuttavia che il suo castigo serve principalmente a proteggere gli altri da lui.
Mettere in castigo un bambino è infatti una piccola sconfitta educativa, che serve principalmente ad impedire che altre persone vengano ferite dai suoi comportamenti, in attesa che buonsenso ed empatia si manifestino in tutto il loro vigore logico e morale.
Il mio (ampiamente utopico) auspicio è quello di veder sorgere un giorno una generazione di persone guidate dal buonsenso e dall’empatia, la cui osservanza delle regole è un semplice corollario ad una saggezza di fondo che guida ogni azione.
Ovviamente tutto questo non si verificherà mai (ahimè!), ma ciò non toglie che possiamo cercare di educare i bambini all’uso del buonsenso e dell’empatia, oltre che al rispetto delle regole, rendendoli così più “saggi” e realmente indipendenti, dal momento che la persona in grado di associare ogni causa ad una possibile conseguenza non ha bisogno di guide e aiuti particolari per affrontare il suo percorso di vita.
Educare i bambini con l’aiuto dei libri
In caso vi domandiate cosa possa avere a che fare tutto questo con la letteratura per l’infanzia, la risposta è proprio sotto i vostri occhi: a prescindere dal movente, dalla storia, dalla trama e dai personaggi, i libri per bambini mostrano ai piccoli lettori alcuni fulgidi esempi del valore educativo del buonsenso e dell’empatia, andando a sommare una voce autorevole alla vostra.
I libri per bambini hanno un infinito potenziale didattico proprio perché spiegano, sotto le sembianze di storie divertenti ed emozionanti, cosa succede quando decidiamo di cacciarci nei guai; cosa accade quando ci facciamo dominare dalla nostra componente istintuale; cosa comporta l’impossibilità di superare la paura del buio e via dicendo, lungo una galleria di esempi praticamente infinita; collocata ben oltre il novero di quelli che potreste esibire voi, basandovi solo sulla vostra fantasia.
Non molto tempo fa, leggevo un articolo di una blogger che sosteneva di odiare le fiabe, in virtù del loro tono moralizzante e didascalico, e di preferire le moderne storie illustrate per bambini, ritenendole più “al passo con i tempi”.
Tralasciando la forma, la confezione e il contesto storico in cui le vicende vengono ambientate, probabilmente la blogger anti-fiaba non ha capito nulla di quello che è la letteratura per l’infanzia moderna, dal momento che non esiste nessuna contrapposizione didascalica con la favola o la fiaba classica.
Tanto “La volpe e l’uva”, quanto “Cappuccetto Rosso” e una modernissima storia per bambini, quale può essere “Sono io il più forte!” di Mario Ramos (è la prima che mi è venuta in mente, per la recensione, clicca qui), mostrano al bambino il dipanarsi di uno schema che prevede il vizio e l’errore destinati a produrre sofferenza e i valori positivi (come l’intelligenza o l’umiltà) meritevoli di ricompensa, lungo una struttura narrativa che prevede una situazione iniziale di stasi, rotta proprio dalla trasgressione morale.
Pur non essendo paragonabili tra loro in merito a trama, lunghezza e preponderanza del messaggio morale, le tre storie mostrano i rischi del vizio e il lato positivo della virtù, chiarendo al bambino cosa comporta l’assunzione di un determinato atteggiamento nei confronti del mondo.
La letteratura per l’infanzia possiede quindi una valenza educativa che prescinde dall’intento specifico di ogni singola opera, perché consente al bambino di immedesimarsi nel particolare, per poi accedere all’universale.
A seguito della lettura di Cappuccetto Rosso, sempre per tornare al nostro esempio, il bambino comprende come contravvenire ai moniti materni si trovi ad essere un’attività rischiosa; così come la lettura di “Sono io il più forte!” mostrerà il lato debole dell’arroganza e della prepotenza; mentre “La volpe e l’uva” porterà a galla il ridicolo dell’ipocrisia umana.
Quando si legge una storia ad un bambino, si porta il piccolo lettore dapprima a calarsi nella singolarità, attraverso l’immedesimazione con il personaggio, e poi a riaffiorare dalla narrazione con la scoperta di nuovi valori universali, esattamente come accade quando il bimbo comprende che “è meglio indossare la berretta in inverno” come regola dalla natura generale, a seguito di un’esperienza intima e particolare.
Affinché il messaggio morale del libro colpisca davvero il bambino, è tuttavia necessario che la storia che intendiamo leggergli si adatti alla perfezione alle sue esigenze intellettuali e che il piccolo riesca a coglierne il senso complessivo, onde evitare di trovarsi vittima del terribile effetto opposto.
Se la lettura di “Sono io il più forte!” renderà consapevole un bambino di 5 anni della vacuità della prepotenza, molto probabilmente, la stessa storia lascerà basito un bimbo di 3 anni (fermo a domandarsi cosa ci facciano Biancaneve e i Tre Porcellini nella stessa vicenda) e rischierà di portare uno di 4 ad emulare gli atteggiamenti negativi del lupo protagonista, dato che la componente ironica è qui ancora troppo sottile.
Se si desidera cogliere nel segno con la letteratura per l’infanzia ed educare i bambini in modo puntuale con i libri, bisogna fare in modo che la tipologia di narrazione prescelta si adatti il più possibile alle reali esigenze anagrafiche del lettore, tanto da un punto di vista stilistico, quanto da quello legato al messaggio veicolato.
Saper scegliere le letture più adatte per i nostri figli non è dunque un mero esercizio di stile o di zelo, ma un’operazione preparatoria ad educare i bambini in modo divertente e gioioso, andando a far leva su una componente insita in ognuno di noi e volenterosa di vedersi rappresentata in un testo che la sublima e la fissa come archetipo.