Last Updated on 5 Giugno 2023 by Maestra Sara
“Iktomi era uno spirito-ragno dispettoso. Indossava pantaloni marroni di pelle di daino, con morbide frange che pendevano da entrambi i lati. Iktomi era solito indossare mocassini con perline ai piedi e cingere con fasce rosse i suoi lunghi capelli neri, raccolti con una scriminatura a metà del capo. Le trecce in cui divideva la chioma penzolavano sulle sue spalle, ciondolano allegramente mentre camminava.
Iktomi dipingeva il suo buffo volto di rosso e giallo e disegnava grossi cerchi neri intorno ai suoi occhi. Indossava sempre un giubbotto di pelle di cervo, adornato da frange multicolori: in poche parole Iktomi si vestiva come un vero guerriero Lakota.
Bisogna sapere, tuttavia, che le pitture di guerra sul volto e gli abiti erano la parte migliore di quello sventurato spirito-ragno.
Iktomi era infatti un tipo scaltro, le cui mani erano perennemente invischiate in sordidi affari. Preferiva sempre seguire il sentiero più comodo, rispetto a quello dell’onestà ed era solito prendersi gioco di tutti coloro che cadevano nelle sue trappole e nei suoi tranelli.
Per quanto nessuno avesse mai avuto stima di lui o lo reputasse affidabile, l’idea di cambiare vita non lo aveva mai nemmeno sfiorato: ogni sua azione era profondamente offensiva e immorale. Il povero Iktomi non ce la faceva proprio a non essere un impostore e accadde così che il malefico folletto rimase completamente senza amici. Nessuno voleva aiutarlo quando era in difficoltà e nessuno gli aveva mai voluto bene davvero. Coloro che si avvicinavano a lui per ammirare il suo giubbotto e i suoi pantaloni con le frange, scappavano a gambe levate dopo averlo udito parlare, intuendo la vanità delle sue parole a vanvera.
Iktomi viveva da solo in una tenda a forma di cono sulla pianura.
Un bel giorno, se ne stava seduto nel suo teepee, arrabbiato con il mondo, quando decise di correre fuori, trascinandosi dietro la sua coperta. Improvvisamente, distese a terra la coltre, iniziò a strappare ampi ciuffi d’erba e a gettarli all’interno della stessa coperta, ripiegata a mo’ di cestino.
Quando ebbe finito, legò insieme i quattro angoli della coperta e se la mise sulle spalle. Dopo aver afferrato un rametto di salice con la mano sinistra, iniziò a saltare e danzare, facendo rimbalzare quel fagotto improvvisato sulla sua schiena, mentre si dirigeva verso il confine estremo della pianura. Quando arrivò sulla cima della collina che delimita la pianura, si fermò per riprendere fiato. Schioccando le sue secche e malvagie labbra come se stesse divorando avidamente un pezzo di carne tenera, lanciò uno sguardo nel vuoto, verso il fondo del fiume che scorreva ai piedi della collina.
Con la mano aperta che gli riparava gli occhi dal cocente sole dell’Ovest, riuscì a scorgere in lontananza le verdi pianure, note come Lowlands, ed esclamò felice: “Ah-ah!” Come se avesse trovato quello che stava cercando.
Nel frattempo, un gruppo di anatre selvagge stava danzando e banchettando nelle paludi. Con le ali spiegate, i pennuti si muovevano con grazia, come a formare un cerchio perfetto. All’interno di quell’anello improvvisato, sedevano i cantanti prescelti, che accompagnavano la loro melodia con un piccolo tamburo, mentre ciondolavano il capo e sbattevano le palpebre.
Stavano intonando all’unisono una canzone piuttosto allegra, accompagnandone il ritmo con il piccolo tamburo.
Seguendo un sentiero ventoso, giunse presso le anatre colui che aveva tutto l’aspetto di essere un vero guerriero Lakota. Portava una largo fagotto, ricavato da una coperta arrotolata e sosteneva il suo passo con un bastone di salice nella mano sinistra.
“Chi va là?” Chiese stupita una vecchia anatra curiosa, senza per questo interrompere la sua danza.
Nell’udire quelle parole, le anatre-cantanti, allungarono il collo per vedere cosa stava accadendo all’esterno del cerchio formato dai danzatori.
“Sono Iktomi!” Rispose lo spirito-ragno.
“E cosa trasporti sulle tue spalle, in quella coperta?” Chiese una delle anatre-cantanti, incuriosita.
“Fermati! Resta qui! Dicci cosa c’è nella tua coperta!” Fecero eco le altre anatre.
“Amici miei,” replicò Iktomi, “non ho intenzione di rovinare la vostra danza. Non credo che vi importi davvero vedere cosa sto trasportando nella mia coperta. Continuate pure a cantare! Continuate pure a danzare! Non ho intenzione di mostrarvi cosa porto con me.”
Nell’udire questa risposta, il cerchio dei danzatori si ruppe immediatamente e tutte le anatre si radunarono intorno a Iktomi, divorate dalla curiosità.
“Dobbiamo vedere cosa trasporti! Dobbiamo vedere cosa c’è nella tua coperta!” Starnazzarono in coro i pennuti. Qualcuna delle anatre cercò addirittura di aprire l’involucro misterioso con il becco, venendo bruscamente respinta dal folletto.
“Amici miei,” proseguì Iktomi, “non è nulla; è solo un pacco di canzoni che porto sempre con me, nella mia coperta.”
“Oh,” dissero in coro le anatre meravigliate, “faccene ascoltare qualcuna!”
Data l’insistenza, Iktomi acconsentì a cantare le sue canzoni per i pennuti. Deliziate, le anatre sbattevano le loro ali ed emettevano timidi urletti di gioia all’unisono.
Con molta cura, Iktomi distese la coperta a terra e disse: “Prima di cominciare, intendo costruire una casetta di paglia, perché non canto mai le mie canzoni all’aria aperta.”
Così dicendo, piegò rapidamente dei bastoncini di salice verde e li piantò a terra, di modo che entrambe le estremità si trovassero conficcate al suolo. Quindi, copri il tracciato che aveva creato con canne ed erba. In men che non si dica, la capanna era pronta. Mettendosi ordinatamente in fila, le anatre entrarono in quel rifugio improvvisato una ad una, facendosi strada attraverso la porticina che il giovane aveva collocato a mo’ di ingresso.
Nascosto dietro la porta, Iktomi rideva di quelle grosse anatre che entravano impettite, in cerca di canzoni da ascoltare.
Quando l’intera comitiva di pennuti si fu radunata e le anatre si sedettero in circolo, Iktomi iniziò a cantare una vecchia canzone, dando fiato ad un’intonazione piuttosto bizzarra, a bassa voce………………”
La fiaba prosegue su….