Last Updated on 15 Giugno 2018 by Maestra Sara
Opera recentissima, quasi fresca di stampa, Gabbiano più gabbiano meno è un libro davvero originalissimo, ricco di significati e chiavi di lettura variabili, al punto di risultare quasi spiazzante la prima volta che lo si legge.
Silvia Borando, autrice di Affamato come un lupo e Gatto nero gatta bianca, ha infatti dato vita ad un’opera piuttosto ardita, in cui il finale sorprende il lettore fino al punto di spostare l’intero orizzonte narrativo della storia in direzioni di altri lidi e di una nuova rilettura.
La breve trama prende il via con un gruppo di gabbiani appostati su una minuscola isoletta in mezzo al mare, di fronte alla quale sorge un’altra isola, di dimensioni e colori analoghi, ma completamente disabitata.
Un bel giorno, uno dei gabbiani decide di rompere la monotonia e, spiccando il balzo, atterra sulla seconda isola, scoprendo ben presto i piaceri della solitudine e della lontananza da quel luogo sovraffollato nel quale aveva vissuto fino al momento prima.
Inizialmente compiaciuto dalla presenza di spazio libero, il gabbiano solitario inizia rapidamente a trasformare la sua nuova condizione nel mezzo per dare vita ad una sorta di critica sociale a tutto tondo nei confronti dei suoi simili, tacciati di essere fastidiosi, rumorosi e poco di compagnia.
Proprio quando il gabbiano si sta godendo i piaceri della sua isoletta deserta, il lettore scopre (allerta spoiler) che la piattaforma in questione non era altro che la parte emersa della testa di un coccodrillo, felice di mangiarsi l’ignaro gabbiano in un sol boccone.
L’imminente minaccia rappresentata dal coccodrillo porta tutti gli altri gabbiano a spiccare rapidamente il volo verso altri lidi, lasciando deserta anche la prima isola.
Quando il lettore crede di aver ormai afferrato il senso di Gabbiano più gabbiano meno, il coccodrillo si rivolge alla prima isola chiamandola “Giorgio” e si apprende così che la piccola piattaforma altro non era che la testa di un ippopotamo.
Felici di essersi liberati della molesta compagnia dei gabbiani, il coccodrillo e l’ippopotamo si compiacciono a loro volta della rinnovata solitudine e salutano come una benedizione il balzo del gabbiano solitario, grazie al quale hanno potuto liberarsi dei fastidiosi ospiti.
Gabbiano più gabbiano meno, parabola sulla solitudine o sulla natura del gregge?
Se la lettura del riassunto (o dell’intero libro, che è perfino più breve del mio sunto) vi ha lasciato perplessi e vi state chiedendo cosa mai abbia voluto rappresentare Silvia Borando con il suo Gabbiano più gabbiano meno, proviamo a fare un passo indietro e ad inquadrare meglio gli elementi che compongono la vicenda.
Pur non trovandomi, logicamente, nella testa dell’autrice e non conoscendo esattamente il movente che ha dato il “la” ad un’opera davvero singolare, credo che per comprendere appieno la natura di Gabbiano più gabbiano meno ci si debba soffermare su due fattori, ovvi, ma non così scontati durante la lettura.
In primo luogo è opportuno notare come l’ippopotamo sia erbivoro e il coccodrillo carnivoro e, in seconda istanza, è doveroso interrogarsi se la scelta del primo “isolotto” da parte del gregge sia stata condotta coscientemente o meno.
Postulando che il gruppo di gabbiani si trovasse a conoscenza del fatto che le due isole non erano altro che le teste dei grossi animali e supponendo che i gabbiani si trovassero a conoscenza delle preferenze alimentari di ippopotami e coccodrilli, quella che sembrava una parabola sulla solitudine si trasforma invece in una narrazione rivolta verso la saggezza del gregge.
Leggendo di primo acchito Gabbiano più gabbiano meno si ha infatti la percezione che l’autrice abbia voluto comporre un breve pamphlet contro gli ideali ascetici e la ricerca della pace lontano dagli altri, ma, in realtà gli accenti mutano di molto in prossimità del finale.
Pur restando sostanzialmente una storia volta a dipingere l’irrealizzabilità di un ideale autarchico, la solitudine del gabbiano diventa infatti la scelta peggiore, non in virtù di esigenze di tipo morale o moraleggiante, ma solo sulla base del fatto che la compagnia (e il sovraffollamento dello stormo) si trovassero motivati da una precedente scelta saggia e utilitaristica.
Il gabbiano solitario incappa cioè in un destino crudele, non tanto perché la volontà di ritagliarsi uno spazio per sé risulti malvagia in quanto tale, ma perché la sua scelta non tiene conto delle controindicazioni dettate dal voler contraddire quanto stabilito da un’ipotetica maggioranza saggia e accorta.
In parole povere, separandosi dal gruppo, il gabbiano ritiene stupidi i suoi simili, costretti a vivere in condizioni precarie su un minuscolo isolotto e crede di elevarsi al di sopra della proverbiale massa in virtù del suo coraggio, senza fermarsi a riflettere per un momento sul fatto che, se gli altri accettavano in silenzio di vivere in condizione palesemente disagiate, una ragione ci doveva essere, dato che il prossimo nostro non è sempre sprovveduto come siamo portati a credere.
Traslocando sulla seconda isola, il pennuto protagonista di Gabbiano più gabbiano meno spezza dunque un equilibrio consolidato, riportando a galla il coccodrillo e portando i due animali sommersi a liberarsi degli ospiti indesiderati.
La solitudine finale goduta a pieno da ippopotamo e coccodrillo è il necessario contrappasso pagato all’arroganza del gabbiano solitario, dato che, anche i due enormi animali anfibi non vedevano l’ora di liberarsi dei pennuti, percepiti come altrettanta fonte di fastidio.
Cosa ci insegna Gabbiano più gabbiano meno?
Alla luce della nostra lettura, Gabbiano più gabbiano meno assume molto più marcatamente i toni di una storia per l’infanzia di quanto non lo fosse a primo acchito.
Se di bambini che tendono all’isolazionismo e alla solitudine ne esistono gran pochi, abbondano invece i bimbi che tendono quasi sempre a voler fare di “testa a loro” e a ritenere di poter migliorare le loro sorti discostandosi da quanto stabilito dall’esperienza di gregge.
Più che una favola in grado di mostrare le problematiche della solitudine ai bambini, Gabbiano più gabbiano meno è, a mio avviso, esattamente questo: una riflessione sulla dicotomia che divide esperienza comune e volontà di sperimentare.
Il gabbiano solitario viene divorato non per via della sua solitudine in quanto tale, ma perché ignora quanto stabilito dall’esperienza comune, credendo di poter vivere una vita più serena al di fuori dei parametri ottimali fissati dal suo stesso tessuto sociale.
A condurre il gabbiano verso morte certa è dunque la sua avventatezza, tipica dell’infanzia, e la presunzione di poter trasgredire le regole senza conseguenze, prendendosi anzi beffe di coloro che restano impassibili sul loro isolotto, senza tentare di emularlo.
In quest’ottica, Gabbiano più gabbiano meno può essere una valida guida ai bambini, animati da perenne desiderio di autonomia, per spiegare come alcune delle convenzioni sociali in atto non siano frutto della mera arbitrarietà, ma di un’esperienza comune, sedimentata nel corso degli anni.
Giusto per passare sul piano pratico, Gabbiano più gabbiano meno può essere il movente per spiegare ad un bimbo che andare a letto ad una determinata ora, mangiare certi alimenti, evitare di correre per strada sono regole comuni, ideate sulla base del fatto che una loro contravvenzione porta in dote spiacevoli conseguenze per colui che crede di poter fare diversamente.
Ovviamente, resta valida anche la prima lettura, quella basata sulla critica alla solitudine, ma credo che in tal senso un adulto possa afferrare meglio il messaggio, dato che la volontà cosciente di staccarsi dal “gregge” sopraggiunge in età avanzata e non certo a 3 o 4 anni.
Qualunque sia l’utilizzo pedagogico o psicologico che volete fare dell’opera, Gabbiano più gabbiano meno resta un libro unico nel suo genere, in grado di spingersi in direzioni del tutto nuove rispetto ai canoni di settore, senza per questo rischiare di venire divorato da qualche coccodrillo letterario, per via della sua temerarietà.