Il ciuccio di Nina, una metafora sull’infanzia e sulle sue ostinazioni

Last Updated on 15 Giugno 2018 by Maestra Sara

Opera solo apparentemente “di scopo”, Il ciuccio di Nina (realizzato da Christine Naumann-Villeminè e da Marianne Barcilon) è probabilmente il libro in grado di rappresentare meglio la spinosa tematica legata all’abbandono del ciuccio e forse l’unico davvero in grado di trasferire il fetticcio all’ambito della metafora, grazie all’artificio della fiaba.

Opera ideata con l’esplicito intento di spingere i bambini più cresciutelli a lasciarsi alle spalle il loro feticcio della primissima infanzia, il ciuccio di Nina riesce infatti nel difficile intento di essere coinvolgente al punto di portare il piccolo lettore a porsi davvero delle domande relative alla funzione del ciuccio e alla sua destinazione.

Ricca di splendidi artifici letterari, legati alla distorsione del linguaggio e alla collocazione della vicenda in un universo fiabesco, la breve storia riesce infatti a trascendere agevolmente i canoni moraleggianti e didascalici di settore e a porsi come una lettura quasi obbligata per tutti quei genitori che sono ormai arcistufi di vedere i loro piccoli col ciuccio in bocca.

Prima di addentrarmi nei meandri della breve trama, vorrei comunque sottolineare come la volontà di mantenere il ciuccio in bocca oltre la “fase orale” non sia sempre associata ad un semplice capriccio, ma risulti spesso alla stregua di un messaggio occulto lanciato alla volta dei più grandi.

Prima di incamminarci verso il simpatico boschetto de Il ciuccio di Nina, apriremo dunque una rapida parentesi sul ciuccio, sulla sua funzione e sul perché i bambini trovino davvero conforto in quello strumento di pacificazione.

 

Il ciuccio e la sua funzione

Non a caso chiamato in lingua inglese “pacifier” (pacificatore), il ciuccio è notoriamente lo strumento più adatto a lenire le ansie e i turbamenti interiori della primissima infanzia, dato che i bambini di pochi mesi imparano a conoscere il mondo e le loro emozioni proprio dalla bocca e che succhiare un oggetto morbido li aiuta a gestire paure immotivate o turbamenti troppo intensi.

Un tempo demonizzato da tutte le ostetriche del mondo, per via della sua incidenza negativa sulla formazione dell’arcata dentale, e oggi rivalutato (alcuni studi sostengono che aiuti a prevenire la Sids), il ciuccio dovrebbe, in linea teorica, risultare appannaggio solo di quella fase della crescita in cui il bimbo non riconosce ancora il fluire delle sue emozioni e abbisogna di conforto orale per sfuggire ai pericoli (reali o presunti) del mondo esterno.

Perché allora esistono bambini che si accaniscono sul feticcio ben oltre la primissima infanzia e che vorrebbero non separarsi mai dal loro ciuccio?

bambino con ciuccio

Ovviamente non esiste una risposta univoca al quesito e non la possiedono nemmeno coloro che si fanno portatori di teorie unificanti, dato che il vissuto e la costituzione della sfera affettiva dei bambini portano alla genesi dei comportamenti più disparati.

Tuttavia, esistono numerose possibili risposte al quesito, alcune delle quali legate al semplice capriccio ed altre che possono essere a pieno titolo ricondotte al timore di crescere e all’incapcità di arginare il fluire delle emozioni, in assenza di uno strumento in grado di riconnettere il bimbo al suo passato prossimo.

Esattamente come facciamo noi, che ci rannicchiamo spesso nei ricordi quando il presente e il futuro ci sembrano troppo gravosi, anche i bambini fanno sovente appello mentale (in modo molto più inconscio) al loro passato prossimo, per sfuggire ad ansie e piccoli timori.

In quest’ottica, il ciuccio marca una certa continuità tra l’epoca delle coccole assidue e quella dell’apertura sociale ed è proprio come se il bambino cercasse rifugio in un mondo più agevole, andando a rievocare sensazioni familiari con l’ausilio del ciuccio.

Senza forzare o deridere  il bambino (accade anche questo, ahimè: ogni volta che sento l’espressione “ormai sei grande” usata in tono canzonatorio, ardo d’ira), sarebbe opportuno cercare comunque di favorire l’abbandono del ciuccio dopo una certa età, non tanto perché la cosa sia malvagia in quanto tale, ma perché l’aumento delle pressioni sociali, gli impedimenti al linguaggio e l’azione esercitata sul palato dallo strumento potrebbero alla lunga farsi deleteri.

Se dunque vi siete riconosciuti nella breve introduzione e non vedete l’ora di agire, Il ciuccio di Nina rappresenta proprio una di quelle strade “soft” da percorrere per giungere in direzione del fatidico abbandono senza troppi traumi.

 

Il ciuccio di Nina, trama e artifici dell’opera

Il ciuccio di Nina narra le gesta di una bimba cresciutella (ampiamente in fase linguistica) che non vuole saperne di abbandonare il suo ciuccio e che vede dipanarsi davanti agli occhi la prospettiva di una vita intera condotta con il suo amato feticcio.

Ogni volta che la mamma interroga Nina a riguardo, la piccola risponde che terrà in bocca il ciuccio anche quando sarà grande, anche quando si sposerà, quando prenderà l’autobus e via dicendo, denotando appieno quella grande epoca del “per sempre” che accompagna spesso i bimbi in età prescolare.

Da sottolineare che, ogni volta che Nina parla, alcune consonanti vengono volutamente storpiate dalla presenza del ciuccio, rendendo le sue parole incomprensibili a terzi e volontariamente buffe.

Un bel giorno, Nina si reca nel bosco (sempre col ciuccio), laddove incontra un terribile lupo nero che minaccia la bimba di volerla mangiare in un sol boccone.

libro Il ciuccio di Nina

Col suo consueto temperamento determinato, Nina intima il lupo di lasciarla stare, aggiungendo una breve serie di insulti legati al presunto brutto aspetto dell’animale e alla sua scarsa propensione verso l’igiene.

Il ciuccio di Nina libro per bambini

Tuttavia, proprio a causa del ciuccio, il lupo non comprende le parole di Nina, la quale è costretta a ripetere a “bocca libera” quanto il lupo sia brutto, cattivo e puzzi.

Inferocito, il lupo monta su tutte le furie e urla in direzione di Nina, la quale per tutta risposta, gli cede il suo ciuccio e lo rende mite come un agnellino.

Il ciuccio di Nina libro

Tornata a casa, Nina spiega a sua mamma di non aver più bisogno del suo ciuccio e di averlo ceduto a qualcuno che ne aveva più bisogno di lei.

 

Il ciuccio di Nina, nel bosco dei rimandi e dei significati

Storia davvero bella, ben curata e ben disegnata, Il ciuccio di Nina va oltre, come premesso, lo scopo prefisso, costruendo una simpatica fiaba in grado, non solo di condurre al distacco dal ciuccio, ma di mostrare in modo divertente l’illusoria natura di tutti i per sempre infantili.

ciuccio di ninaMetafora sulla volubilità dei più piccoli, il Ciuccio di Nina si presta infatti a più chiavi di lettura che, oltre a quella ovvia, possono mostrare al bambino quanto la dimensione della primissima infanzia sia destinata a sgretolarsi sotto il peso di nuovi incontri, nuove esperienze e di un cambio di orizzonti che può manifestarsi in ogni momento.

Proprio la capacità di domare il lupo e i suoi stessi istinti mostrano infatti a Nina la crescita del suo carattere e la portano a capire che il ciuccio serve forse a tutti coloro che non riescono a calmarsi senza il ricorso alla ragione, primo tra tutti, il lupo stesso.

Davvero gradevole, il ciuccio di Nina è dunque un simpatico viaggio da condurre intorno al terzo anno di età dei piccoli, potendo anche prescindere dal movente specifico che aveva generato l’opera e leggendola come una simpatica metafora sull’infanzia in senso assoluto.

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Il ciuccio di Nina. Ediz. illustrata
  • Editore: Il Castoro
  • Autore: Christine Naumann-Villemin , Marianne Barcilon
  • Collana:
  • Formato: libro (dettagli non specificati)
  • Anno: 2003

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