Last Updated on 9 Agosto 2018 by Maestra Sara
Originale variante su uno dei percorsi maggiormente battuti dalla letteratura per l’infanzia, Il mostro che amava le storie è un ottimo libro che mostra al piccolo lettore come le doti relative all’ingegno superino di gran lunga l’impiego della forza fisica e come tutti, bulletti e “cattivi” inclusi, posseggano un lato tenero nascosto.
Al pari di classici senza tempo, come l’Odissea, Il mostro che amava le storie ripropone l’eterna dicotomia tra uso della forza e impiego dell’intelletto, dando vita ad una moderna versione di un piccolo Ulisse che, in barba ad una disparità fisica evidente, riesce a piegare al suo volere una sorta di Polifemo dalle sembianze di drago cattivo.
Leggere questo tipo di racconti ai bambini durante i primi anni dell’infanzia non è solo funzionale ad una spassosa messa in ridicolo di tutti coloro che basano sul terrore e sulla forza l’approccio alle relazioni sociali, ma è anche (e soprattutto) funzionale a far comprendere ai giovani lettori come l’uso dell’intelletto riesca a sopperire ad ogni apparente lacuna a livello fisico.
Nel corso di un’età in cui i bambini sognano di diventare “forti” per adeguarsi ai loro modelli comportamentali, reali o fittizi, spiegare il valore delle doti intellettive consente non solo di affrancarsi da un ideale difficilmente raggiungibile, ma anche di sviluppare doti che li accompagneranno per tutta la vita, anche quando la forza fisica sarà venuta meno o non si troverà più ad essere oggetto delle brame infantili.
Non a caso, in quasi tutte le fiabe classiche, da il “Corvo e la volpe” ad “Hansel e Gretel”, i protagonisti non sono quasi mai caratterizzati dalla potenza fisica, ma da doti intellettuali in grado di colmare ipotetici divari con i “nemici” e di far prevalere il ragionamento su quella componente istintiva che spesso si abbina alla forza e all’eccessiva fiducia nelle proprie capacità.
Il mostro che amava le storie si inserisce a pieno titolo in una tradizione millenaria, andando a riprendere archetipi del passato e dando vita ad una fiaba moderna in cui il finale è volutamente pacificatorio, dato che l’obiettivo del piccolo protagonista del libro non è quello di lasciare sul campo morti e feriti, ma quello di far emergere l’animo dolce del temibile mostro.
Il mostro che amava le storie, un’avventura medievale
Ambientata in un medioevo ipotetico e piuttosto archetipico, Il mostro che amava le storie inizia con un intero regno tenuto sotto assedio da un mostro spaventoso, di nome Osvaldo, e con un bando reale che invita a sfidare la terribile creatura per aver in dono la mano della fatidica principessa (i richiami alla tragedia sofoclea sono più che evidenti).
A sorpresa, si propone un ragazzo giovane e minuto, di nome Valentino che, con la sua decisione di sfidare Osvaldo, provoca un’ondata di derisione e scetticismo in tutto il reame.
Non appena giunto in prossimità del mostro, Valentino diventa facile preda di Osvaldo che, tenendolo in pugno, lo interroga circa la sua conclamata decisione di distruggerlo.
Per prendere tempo e sviare l’attenzione, Valentino comincia ora a raccontare ad Osvaldo di tutti i mostri che ha ucciso nel corso della sua lunga “carriera di eroe” e ad associare ogni specifico mostro ad una singola storia, a seconda delle fattezze e del livello di intelligenza della creatura.
Per uccidere un mostro molto tonto, spiega Valentino, è servita la spada, dato che la scarsa intelligenza della creatura l’ha portata ad attaccare alla cieca.
I mostri paurosi sono stati invece messi in fuga da urla a squarciagola; quelli golosi sono stati sopraffatti dalla loro stessa ingordigia; quelli brutti da uno specchio piazzato ad arte e alcuni mostri, infine, sono stati sconfitti grazie all’impiego del solletico.
Nell’ascoltare questi racconti, Osvaldo di lascia andare ad un lungo applauso, comprende che la sua vera natura è votata all’ascolto e non al terrore e stipula un patto con Valentino in base al quale cesserà di dar fastidio al piccolo regno in cambio di una nuova storia ogni sera.
Il mostro che amava le storie si conclude con l’immancabile lieto finale in cui Valentino sposa la principessa (fortuna che la storia è stata scritta da una donna, altrimenti sarebbe stata ricoperta da accuse di sessismo a go-go) e mantiene la sua promessa, raccontando ad Osvaldo una storia nuova ogni sera.
Il mostro che amava le storie, l’elogio della tenerezza
Oltre a veicolare un messaggio rivolto ai bambini, affinché affinino il loro intelletto di fronte alle paure, Il mostro che amava le storie è un lungo elogio della tenerezza, atto a mostrare come, molto spesso, i “cattivi” non siano poi così cattivi e come risulti possibile far breccia nel cuore dei “nemici” attraverso la ricerca di un terreno emotivo comune.
Il mostro che amava le storie, scritto e illustrato da Sabine De Greef, invita i bambini a confrontarsi con i loro bulletti, a cercare di capire cosa piace loro e quali sono le ragioni che li spingono a mostrarsi prepotenti, senza escludere a priori la possibilità di una futura, quanto inaspettata amicizia.
Molte delle piccole dispute in età infantile nascono spesso dall’incomprensione e dalla scarsa conoscenza della controparte e, in tal senso, letture come Il mostro che amava le storie cercano di fare breccia nei contrasti per ricondurre l’infanzia ad un tutt’uno armonico in cui i conflitti continuano ad esistere, ma divengono parziale e temporanei.
Se pensiamo a quante volte abbiamo attaccato (o siamo stati attaccati) da un collega o da un compagno di classe in base ad un’idea errata che avevamo l’uno dell’altra, comprenderete agevolmente come tutto ciò si trovi ad essere logicamente amplificato nei bambini.
Il mostro che amava le storie invita dunque ad approfondire conoscenze solo accennate, facendosi guidare da quell’intelletto che rappresenta il collante di un’infinita tradizione fiabesca e che, se ben allenato, sopravvive agevolmente alla forza e al suo utilizzo indiscriminato.