Last Updated on 22 Ottobre 2018 by Maestra Sara
Ormai celebre ad ogni latitudine, Il ragazzo e il giaguaro è una di quelle opere uniche, in grado di fondere marcati elementi autobiografici con una narrazione estremamente emotiva che conduce il lettore in direzione di una redenzione finale, lirica e commovente.
Basato sulla vera storia dell’autore Alan Rabinowitz, Il ragazzo e il giaguaro mostra infatti come la “diversità” porti in dote, da un lato, una dolorosa componente di esclusione (in questo caso, autoesclusione), ma, al tempo stesso una volontà di riscatto che travalica le comuni possibilità e che sfocia necessariamente in una maggior sensibilità verso gli elementi affini del mondo.
Storia di un bambino balbuziente che si sente più prossimo al regno animale e alle sue sofferenze, che non al mondo dei suoi simili, Il ragazzo e il giaguaro è una parabola sulla “disabilità” (molto virgolettato), sul ruolo del linguaggio e sulla natura sui sentimenti autentici, confezionata con le splendide illustrazioni di Catia Chien.
Considerato da critica e pubblico alla stregua di un autentico capolavoro della letteratura (e non solo per l’infanzia), Il ragazzo e il giaguaro si differenzia dalla maggior parte delle opere in commercio, non tanto in virtù dell’incredibile componente autobiografica che anima l’albo, quanto per riuscire a rappresentare la diversità senza edulcorazioni o idealizzazioni di sorta.
Se la maggior parte dei libri per l’infanzia tende infatti a mostrare la diversità alla stregua di una risorsa o di un’anomalia solo apparente (quasi come una sorta di super potere), Il ragazzo e il giaguaro prende il via con un doloroso ritratto di una condizione percepita come limitante senza se e senza ma.
Il protagonista del libro non si sente infatti “speciale” o privilegiato, ma perfettamente consapevole delle barriere che la sua balbuzie gli pone e delle difficoltà che si stagliano davanti a lui ogni volta che cerca di cominciare a parlare.
Prima di tornare sulla balbuzie, è forse meglio introdurre l’opera, onde evitare di creare confusione in coloro che non hanno mai letto il libro o che non conoscono la storia di Alan Rabinowitz.
Il ragazzo e il giaguaro, un amore che supera la parola
Il ragazzo e il giaguaro prende il via con l’immagine di un bambino, alter-ego dell’autore, che si trova in uno zoo del Bronx e si interroga sulle ragioni che portano i responsabili della struttura a rinchiudere un giaguaro tanto maestoso in una gabbia così piccola e spoglia.
Mentre il bambino si china verso il giaguaro per sussurrargli delle parole all’orecchio, il padre lo interroga su cosa stia facendo e qui Alan Rabinowitz introduce la sua storia.
Il piccolo è affetto da una grave forme di balbuzie che gli impedisce di esprimersi correttamente ed è stato messo, per volontà della maestra, in una classe per bambini problematici, dato che la sua educatrice crede che il piccolo sia “rotto”.
Nonostante non riesca a parlare in modo corretto, Alan sa tuttavia cantare (anche se non canta molto bene) e parlare con gli animali, in particolar modo con tutti i suoi peluche, con i quali avverte un legame di prossimità dovuto al fatto che, esattamente come lui, gli animali non si esprimono a parole pur riuscendo a farsi capire tra simili.
Data la sua affinità e il suo amore per gli animali, il bambino promette ai suoi peluche che, se mai dovesse “ritrovare” la voce, diverrà esso stesso la voce del regno animale e difenderà le istanze di tutte quelle creature che troppo spesso vengono maltrattate perché incapaci di esprimersi.
Solamente il papà del bambino conosce il suo segreto e proprio per questo lo porta spesso alla zoo del Bronx e lo osserva parlare al giaguaro solitario nella minuscola e spoglia gabbia.
Man mano che il bambino cresce, la balbuzie resta una costante della sua esistenza e il ragazzo, ormai cresciuto e iscritto al college, continua a sentirsi “rotto” e difettoso e a cercare conforto nella Natura, a contatto con i suoi amati animali.
Proprio il suo amore e la sua volontà di estraniarsi da contesti troppo gravosi conducono Alan in Belize, dove impara a catturare giaguari per studiarli (prima di lasciarli liberi) e dove scopre l’esistenza di un bracconaggio su vasta scala che mette a rischio la sopravvivenza dei felini per meri scopi esibizionistici.
Ricordandosi della sua promessa infantile, Alan decide allora di diventare “la voce dei giaguari”, porta la sua causa al Primo Ministro del Belize e in soli 15 minuti, senza balbettare, convince le istituzioni locali a dare vita alla prima area protetta per i giaguari della nazione centroamericana.
Poco dopo, all’interno della riserva protetta che egli stesso ha contribuito a creare, Alan si trova faccia a faccia con un giaguaro, gli si siede di fronte, lo guarda con gli stessi occhi con cui aveva guardato anni prima l’esemplare femmina allo zoo del Bronx e si sente finalmente “integro”, tanto da sussurrare all’orecchio del felino (anch’egli integro e sereno) un emblematico “ti ringrazio”.
Il ragazzo e il giaguaro, tra balbuzie e redenzione
Come premesso, questo splendida opera d’arte illustrata riesce a descrivere la “diversità” spogliandola di ogni retorica e mostrandola come movente per far nascere nel piccolo un’empatia tanto profonda da divenire l’intero collante della sua esistenza.
Esattamente come il giaguaro dello zoo nel Bronx, il bambino non è “rotto”, ma è semplicemente imprigionato in una gabbia che gli impedisce di esprimersi e di immergersi in un contesto sociale in cui la componente verbale risulta centrale per la definizione delle relazioni interpersonali.
Spesso percepita alla stregua di un inconveniente passeggero o, al contrario, della mera manifestazione di un’oscura problematica neurologica, la balbuzie è in realtà la causa e non l’effetto di una serie di problematiche psicologiche potenzialmente deflagranti per un bambino.
L’incapacità di esprimere correttamente i suoi sentimenti porta infatti il bambino a sentirsi limitato in modo totale, dato che la sfera del linguaggio, durante l’infanzia rappresenta la maggior espressione delle potenzialità del bambino e che è proprio la parola orale a definire e orientarne le scelte.
Il bambino che non riesce a parlare si sente così mutilato di quell’abilità che gli consente di creare mondi, di condividere il suo “io” e di definire se stesso di fronte agli altri, definendo al contempo gli altri, per prossimità o lontananza.
Opere come Il ragazzo e il giaguaro aiutano i piccoli (e i loro genitori) a comprendere quanto non ci sia nulla di errato in loro (in caso ce ne fosse bisogno) e quanto la sfera del linguaggio continui a fluire nella loro psiche, cercando di emergere in superficie verso nuovi sbocchi e nuove possibilità, come un torrente in piena.
Anche se la stragrande maggioranza dei casi di balbuzie infantile è destinata a risolversi nel corso degli anni, è importante che i piccoli pazienti comprendano come la diversità non coinvolga nel modo più totale la loro psiche e la loro interiorità; esattamente come una gabbia potrà rendere triste un giaguaro, ma non potrà mai snaturarne l’essenza.
Un bambino balbuziente è a tutti gli effetti un bambino “completo”, così come un giaguaro non cessa di essere tale solo perché rinchiuso in una prigione che può avere natura temporanea o perenne, ma che non può mai davvero agire a livello intimo sulla natura autentica delle cose.
Corredato da una brevissima intervista alla stesso Alan Rabinowitz, Il ragazzo e il giaguaro è una delle migliori opere sulla diversità mai scritte e una delle poche a non trattare le difficoltà alla stregua di un cliché, dato che un bambino balbuziente non cerca l’attribuzione di super poteri o risvolti magici della sua condizione, ma solo quella normalità che gli consenta di sentirsi “integro” come tutti gli altri.
- Editore: Pane e Sale
- Autore: Alan Rabinowitz , Catia Chien
- Collana:
- Formato: Libro rilegato
- Anno: 2017