Last Updated on 7 Giugno 2018 by Maestra Sara
Frutto della feconda collaborazione tra l’autrice francese Agnes de Lastrade e l’illustratrice argentina Valeria Do Campo, La grande fabbrica delle parole rappresenta un mirabile esempio di opera piuttosto complessa e non adatta ad ogni esigenza anagrafica, in barba alle ingannevoli etichette, diciture e classificazioni che accompagnano spesso i libri per l’infanzia.
A dispetto dello specchietto per allodole rappresentato dalla classificazione “ufficiale” 3-5 anni, La grande fabbrica delle parole è in realtà una splendida fiaba illustrata che può venire consapevolmente fruita solo a partire dai 4 anni in su (forse anche 5), in virtù di una struttura e di una serie di rimandi che annoierebbero a morte i piccolissimi lettori.
Se state dunque vagando per una libreria in cerca di una bellissima storia illustrata per il vostro bambino di tre anni, vi consiglio vivamente di rivolgere lo sguardo altrove; mentre se state cercando una fiaba moderna, in grado di intenerire e appassionare i vostri piccoli, di età compresa tra i 4 e i 7 anni, siete capitati nel posto giusto.
La grande fabbrica delle parole è infatti un libro stupendo, ricco di significati e insegnamenti morali, ma presuppone la conoscenza, da parte del piccolo lettore, di una serie di concetti astratti che poco collima con le esigenze partorite dalla mente di un lettore di 3 o 4 anni, per sua natura votato verso trame semplici, storie brevi e trasfigurazioni della realtà che non si sovrappongano al suo universo semantico.
Dopo essermi addentrata nei meandri di questo splendido testo per l’infanzia (così chiariamo subito di cosa stiamo parlando!), cercherò di chiarire dunque più a fondo perché La grande fabbrica delle parole può agevolmente trasformarsi in una lettura entusiasmante per i bambini grandicelli e rischiare invece di diventare un oggetto volante non identificato, se lasciato in mano ad un bimbo troppo piccolo.
La grande fabbrica delle parole, una poesia per immagini
Edito da Terre di Mezzo, La grande fabbrica delle parole narra le vicende di uno strano paese in cui le persone non parlano quasi mai, perché le parole non rappresentano il normale approdo delle facoltà vocali umane, ma una preziosa merce da acquistare ed inghiottire.
In questo luogo surreale, opera la grigia fabbrica (gestita da automi) che produce e stampa in continuazione le parole successivamente destinate al mercato, secondo uno schema che porta i vocaboli più importanti ad essere molto più rari (e dunque più costosi) e quelli difficili da inserire in una conversazione (come “ventriloquo” o “carabattole”) a trovarsi oggetto di saldi o, addirittura, di abbandono nei pressi della spazzatura.
Questa bizzarra situazione linguistica genera in modo quasi causale una sorta di stratificazione sociale del linguaggio che prevede i soggetti più ricchi ed abbienti sempre provvisti di parole e le persone più povere, per contro, costrette a risparmiare o ad afferrare i vocaboli dispersi nell’etere per poter comunicare.
In questo contesto vagamente dickensiano si inserisce la storia di Phinleas, bambino oppresso dalla povertà (linguistica), ma volenteroso di conquistare il cuore della bella Cybelle, in barba all’impossibilità di esprimere il suo amore come vorrebbe e di poterla lusingare con la parola orale.
Come se la povertà non bastasse, Phileas si trova pure costretto a fronteggiare la minaccia rappresentata da Oscar, bambino ricco ed arrogante, che ambisce anch’egli al cuore della piccola Cybelle e che può far leva su un bagaglio linguistico degno di Petrarca.
Un bel giorno, Phileas decide di mettere da parte tre parole che è riuscito a catturare con un retino (“Ciliegia”, “Polvere” e “Seggiola”) e di donarle a Cybelle come pegno d’amore.
Proprio quando il piccolo eroe di appresta a regalare le sue paroline all’amata, Oscar lo precede, snocciolando una serie di parole d’amore costosissime che rivolge alla bella Cybelle.
La grande fabbrica delle parole e il suo universo semantico
Solo sintetizzando la trama, risulta evidente come La grande fabbrica delle parole contenga al suo interno concetti, metafore e rimandi che non sono assolutamente alla portata di un bambino di 3 anni o poco più e che rischierebbero di infastidire i lettori troppo acerbi.
Inanzitutto, la storia è troppo lunga per un bambino piccolissimo e, per quanti tentativi facciate, risulterà difficile giungere alla conclusione (io ci ho provato davvero!) senza che vostro figlio vi chieda di cambiare libro, di giocare, di fare merenda o di guardare i Super Pigiamini in tv.
I bambini di età compresa tra i 3 e i 4 anni possiedono infatti una soglia d’attenzione troppo limitata per seguire lo stratificarsi di una narrazione che si articola lungo numerose premesse e sovrapposizioni.
In seconda istanza, La grande fabbrica delle parole non si adatta ad un bambino troppo piccolo perché gioca la sua valenza didascalica su concetti astratti come “amore” “ingiustizia sociale” e “povertà” che non fanno parte del bagaglio emotivo dei piccolissimi.
Per un bambino di tre anni, l’amore è infatti in modo esclusivo un sentimento che riservano ai genitori, le ingiustizie semplicemente non esistono (perché non ne hanno ancora sperimentata una vera) e la società è una massa informe ed astratta dove tutti sono, più o meno, uguali.
Inoltre, La grande fabbrica delle parole non colloca la narrazione in un contesto meramente ipotetico, come fanno le fiabe, ma rappresenta una sorta di realtà trasfigurata, in cui elementi reali e immaginari si fondono, andando a confondere la mente del bambino piccolo, che tende a separare il reale dal fantastico e, proprio per questo, non comprende la commistione dei due fattori.
La grande fabbrica delle parole: un libro stupendo per bambini di 5, 6 o7 anni
Come premesso a più riprese, La grande fabbrica delle parole è davvero un libro stupendo, meritevole di venire inserito in ogni piccola biblioteca dell’infanzia, ma solo a patto che si rispetti lo spirito dell’opera e che si fornisca al bimbo tutti gli strumenti utili alla comprensione della trama.
Consiglio dunque un approccio al La grande fabbrica delle parole in prossimità del compimento del quinto anno di età e consiglio, inoltre, ad editori e librai di rivedere la classificazione anagrafica dei loro prodotti in base alle reaali esigenze dei piccoli lettori e non a necessità di marketing.
In caso dunque abbiate un figlio, un nipotino o un conoscente che si appresta a compiere 5 o 6 anni (ma anche 7), questo libro fa il caso vostro e riuscirà sicuramente a cogliere nel segno, andando a sovrapporre un mondo fatato e poetico ad un bagaglio di nozioni emotive ormai saldamente acquisito.
Bene, anche per questa volta ho finito. Se la recensione ti è piaciuta, lascia un commento qui sotto 😉
A presto, Sara.