Last Updated on 28 Settembre 2021 by Maestra Sara
Premessa fondamentale su cui si basa l’intera architettura di questo articolo, incentrato sulle letture per bambini dai tre ai quattro anni, è che noi siamo il prodotto delle nostre esperienze e del modo in cui reagiamo ad esse; percependole come immani catastrofi, come occasioni di riscatto o come eventi in grado di trasformare il nostro modo di essere.
Se fino ai tre anni il vissuto di ogni bambino risulta variegato e contraddistinto da percorsi assolutamente alternativi (esistono bambini rimasti a casa con la mamma o il papà, bambini inseriti al nido dopo pochi mesi, bambini divisi tra i genitori e i nonni, bambini affidati a balie e baby sitters), il compimento del terzo anno d’età rappresenta un nodo cruciale nell’esistenza, in grado di ricondurre tutti i piccoli in direzione di un vissuto piuttosto simile.
L’inizio della scuola dell’infanzia lima infatti le diversità, portando i piccoli a vivere un’esperienza tanto comune, quanto assoluta, nel corso della quale faranno emergere il loro vero carattere e impareranno ad orientarsi in un universo orizzontale, composto da loro “pari” con i quali relazionarsi.
Fatta eccezione per il caso specifico rappresentato dai bambini affidati agli asili nido full-time, i piccoli si sono trovati a vivere, prima dei tre anni, in universo fortemente incentrato sulla loro persona, all’interno del quale mamma, papà e nonni rappresentavano quasi un’estensione fisica della loro volontà e dei loro bisogni.
Data la quasi totale assenza di autonomia dei bambini molto piccoli, l’accudimento ha rappresentato la costante dell’esistenza: gli altri componenti del nucleo domestico, ristretto o allargato, hanno avuto la funzione quasi esclusiva di provvedere alle necessità fisiche e sensoriali del bimbo e di aiutarlo a sopravvivere in un mondo denso di potenziali insidie.
Accade spesso, quando le attenzioni si fanno troppo marcate, che il bimbo sviluppi l’inconscia convinzione che l’intero universo esista solo per compiacerlo e che ogni altro essere vivente sia stato creato con lo scopo di gratificarlo e consolarlo all’occorrenza.
Il bambino di età inferiore ai tre anni è il vertice di una piramide gerarchica che colloca agli strati inferiori i membri del suo universo relazionale, sulla base dell’affetto provato e della specifica capacità dei familiari di soddisfare le sue esigenze.
Tutto ciò accade, logicamente, non perché il piccolo si trovi ad essere egoista o incapace di amore disinteressato, ma perché la sua dipendenza da una terza figura lo porta a credere che la suddetta persona risulti interamente ascrivibile nella categoria dell’accudimento, quasi come se mamma, papà e parenti vari vivessero solo in funzione del suo benessere (cosa, che è talvolta accade davvero, nei casi limite).
L’inizio della scuola materna non coincide dunque semplicemente con l’introduzione di regole in grado di ordinare il “caos primordiale”, ma con il crollo di quella piramide sociale che il bambino aveva costruito con tanta fatica nei primi tre anni di vita.
Una volta varcato il portone della scuola dell’infanzia, trascorsi due giorni sereni durante la fase di inserimento, il bimbo capisce molto, ma molto, presto, che nel suo nuovo microcosmo non gode di posizione privilegiata rispetto alla miriade di altri bambini presenti e che dovrà trovare il suo posto nel mondo in piena autonomia.
Questa caduta dagli allori pone dunque la prima vera sfida ai bambini e ne forma il carattere, ponendosi come evento spartiacque, oltre il quale, tutto quanto risulterà il prodotto delle reazioni iniziali e dell’abilità di sapersi reinventare da zero.
La capacità di adattarsi o meno alla nuova situazione (ci sono bambini che piangono disperati per due giorni soli e altri che ripongono il fazzoletto imbevuto di lacrime a giugno dell’anno successivo) genera un nuovo spazio sociale nella vita del bimbo, gli rivela chi è e chi vuole essere, traghettandolo lungo una fase tumultuosa che influirà sulla sua crescita.
Il passaggio dall’accudimento perenne alla “lotta incruenta” per trovare un posto nel mondo, inizia inoltre a definire il carattere del bambino in modo marcato e a spalancare le porte ad una miriade di emozioni, rimaste in forma embrionale fino a quel momento.
Entro breve, il bambino viene infatti investito da una gamma di sensazioni piuttosto complesse, che esulano dalla semplice dimensione legata alla rabbia e alla quiete e che portano in dote un riverbero sul nuovo universo relazionale che va via via creandosi.
Il timore legato alla mancata accettazione sociale da parte dei suoi coetanei, il rischio di subire prepotenze da parte dei bambini più grandi e la paura di non essere capito fino in fondo dalla maestra danno vita ad un nuovo insieme semantico, che prevede le emozioni pronte ad accavallarsi, a cozzare tra di loro e a rendere un quadro di insieme piuttosto confuso e nebuloso.
Tutto questo si traduce nella necessità di un maggior supporto da parte della famiglia e delle istituzioni scolastiche; entrambe necessariamente unite per far capire al bambino che non è solo e che nessuno intende realmente abbandonarlo.
Sia che ci troviamo ad essere genitori avari di complimenti e coccole, sia che, al contrario, ci prodighiamo in lodi e attenzioni, questo è il momento giusto per non lesinare sulle smancerie, tenendo comunque ben saldo il timone e mostrando inflessibilità riguardo all’alveo dei nuovi doveri del piccolo.
Riempire di attenzioni un bambino insicuro prima del suo ingresso mattutino a scuola (o al ritorno) risulta, in quest’ottica, un’azione quasi doverosa; mentre, cedere ad una compassione del tutto immotivata e decidere di tenere il pargolo a casa per qualche giorno, non fa altro che procrastinare l’incombenza e rafforzare l’idea che la scuola materna rappresenti qualcosa di orribile, paragonabile ad un castigo.
La luce in fondo a quel tunnel che investe, volente o nolente, genitori e bambini non appena compiuto il terzo anno di età, comincia a vedersi quando i piccoli, dopo aver versato tante lacrime quanto ne può contenere il Mar Morto, comprendono di non essere soli in quella “valle di dolore” e che i loro coetanei si trovano nella stessa identica situazione.La capacità di percepire i suoi simili in modo empatico e di potervisi quasi specchiare, permette al bimbo di instaurare relazioni del tutto nuove e di spalancare le porte ad un universo in cui ci si può confrontare sulla base di un vissuto comune e di gusti molto simili.
Proprio la scoperta dell’amicizia (per il mio post sul tema, clicca qui), unita alla certezza che la mamma (o il papà) tornerà puntuale alle 15.45 tutti i giorni, consente al bambino di guardare in modo differente ai suoi nuovi impegni e di svegliarsi, mattina dopo mattina, senza troppi strepiti e paure.
Se condotta lungo i binari di un rapporto sano, non eccessivamente possessivo o subalterno, l’amicizia rappresenta un rapporto in grado di riverberarsi positivamente sulla psiche del bimbo e sul modo di approcciarsi agli altri, genitori e parenti inclusi.
Dopo aver creato un microcosmo complementare a quello domestico, il piccolo tende generalmente ad evitare di distribuire le sue pulsioni in un’unica direzione, come accaduto fino a poco prima, e supera quella fase della sua vita, definita come “terrible twos”, che altro non è se non la continua affermazione dell’io in modo accentrativo.
La possibilità di correre, litigare, condividere segreti, giocare e divertirsi con i suoi amici, rende infatti il bambino meno incline a riversare tutta la sua energia inespressa tra le mura domestiche e, dunque, ad essere meno capriccioso e prepotente con i suoi genitori, dato che la sua componente più attiva e conflittuale ha già trovato libero sfogo nel corso della giornata trascorsa in compagnia dei suoi coetanei.
Esattamente come noi adulti ci sentiamo spesso più nervosi dopo una giornata abulica, trascorsa tra le mura domestiche in attesa che succedesse qualcosa, anche i bambini hanno bisogno di sentirsi attivi e di sfogare le loro energie con persone della loro età, in grado di capirli e di incanalare il desiderio di azione verso un fine comune.
Giocare con un adulto o con un coetaneo non è la stessa cosa, agli occhi di un bambino: mentre le attività ludiche svolte con mamma e papà seguono regole mutevoli e vengono (anche se occultamente) preordinate dall’adulto, il gioco tra bambini è paritario e, in quanto tale, consente al piccolo di sfogare le sue tensioni in modo esaustivo e completo.
Facendo l’esempio di una comunissima partita a calcio, in cuor suo, mentre il piccolo gioca con suo papà sa: che il genitore lo lascerà vincere; che la componente agonistica risulta semplicemente simulata e che l’adulto non agogna la vittoria tanto quanto la desidera lui.
Al contrario, la sfida tra due bambini che si contendono la porta di un campetto di calcio è sfida vera, nella quale i contendenti liberano tutte le loro energie e danno fondo a numerose risorse fisiche, intellettuali ed emotive pur di prevalere sull’avversario.
Tutto questo non implica che giocare con i bambini non sia un’attività utile alla crescita e del tutto raccomandabile (giocate con i vostri figli il più possibile!), ma che il gioco tra bambini risulta maggiormente liberatorio e meno rassicurante della sua variante svolta all’interno del nucleo familiare.
La convulsa fase appena descritta, che parte dalla paura dell’abbandono e si conclude con la scoperta di un mondo che prospera fuori dalle mura domestiche, rappresenta una tappa naturale e spontanea nella crescita dei bambini e tende ad evolversi e concludersi secondo linee antropologiche del tutto comuni all’infanzia.
Salvo rarissimi casi, rari quanto un Gronchi Rosa, nelle cronache universitarie non vi è infatti traccia di laureandi che piangono perché vogliono la mamma o di studenti ancora in preda alle paure da abbandono che chiedono ai docenti di essere consolati.
Letture per bambini, un valido conforto di fronte alla transizione
Se Crescere (con la C maiuscola) è dunque un’attività naturale ed inevitabile, perché acquistare dunque letture per bambini che illustrano e spiegano quanto è già destinato a succedere spontaneamente?
Perché le letture per bambini, incentrate su un vissuto comune all’infanzia, consentono di alleviare e incanalare tutte quelle pulsioni che attendono solo di poter uscire allo scoperto e di vedersi rappresentate su carta.
Mai come in questa complessa fase della crescita, le letture per bambini possono offrire un supporto emotivo stabile ed efficace, mostrando al bambino la natura e l’universalità dei suoi turbamenti e facilitando la conclusione di un processo comune a tutta l’infanzia.
Logicamente, le letture per bambini più adatte a coloro che si accingono ad addentrarsi nei meandri della scuola materna sono testi che si muovono lungo le tre grandi direttrici, rappresentate da: distacco emotivo, gestione delle emozioni e amicizia.
Chiunque desideri approcciarsi alle letture per bambini rivolgendosi alle esigenze specifiche di un bimbo di età compresa tra i tre e i quattro anni, dovrà dunque tenere ben presente, in prospettiva, l’intero arco del percorso emotivo che il piccolo si appresta a svolgere e virare dritto in direzione delle tre sopraccitate macro-categorie.
Leggere libri incentrati sul distacco emotivo e sulla paura dell’abbandono, permetterà infatti al piccolo di comprendere come mamma e papà sono (e saranno) sempre lì per lui e come l’ingresso nel nuovo eco-sistema della scuola possieda una natura assolutamente temporanea e non in grado di inficiare minimamente lo stabile legame venutosi a creare nel corso dei primi tre anni di vita.
Le numerose letture per bambini dedicate alla gestione delle emozioni (per il mio post sul tema, clicca qui) permettono invece ai piccoli lettori di comprendere l’universalità di un complesso di sensazioni, di fronte al quale i più piccoli risultano spesso intimoriti, come se gli scatti di ira fossero loro esclusivo appannaggio.
Proprio comprendendo come quel “demone” che si impossessa di loro, spingedoli a fare cose delle quali si pentiranno rapidamente, rappresenti una costante del genere umano, i bambini riescono infatti a superare la paura di essere “diversi” o sgradevoli e a capire la transitorietà di un processo emotivo che coinvolge tutti, grandi e piccini.
Leggere letture per bambini sull’amicizia, è invece funzionale a rinsaldare le loro prime certezze, a chiarire ai più piccoli la natura di un rapporto spesso altalenante e a spingere i bambini in direzione della creazione di un nuovo universo relazionale, fondato su rapporti paritari e non più gerarchici.
le letture per bambini sull’amicizia(quantomeno le migliori) sono accomunate da una struttura rivolta a mostrare ai piccoli lettori la necessità di superare quei piccoli ostacoli che verranno sicuramente a crearsi, non appena il bambino approccerà i suoi coetanei in un modo per lui assolutamente nuovo ed inconsueto.
Il doversi contendere attenzioni, giocattoli e spazi fisici, porta infatti i bambini ad immergersi in un universo relazionale all’interno dei quale i piaceri derivanti dall’amicizia sono spesso accompagnati da piccole liti e diverbi, in grado di mettere in crisi l’intera architettura emotiva venutasi a creare.
Per questa ragione, leggere letture per bambini incentrate sull’amicizia aiuta i piccoli lettori a comprendere la natura parziale della difficoltà e la necessità di osservare i rapporti umani in prospettiva, lanciando uno sguardo oltre i primi litigi e le prime gelosie.
Una volta stabiliti quali contenuti si addicono maggiormente al vissuto e alle esperienze dei bambini di tre anni e rotti, è doveroso sottolineare (in caso ce ne fosse bisogno) come la forma delle suddette letture per bambini di età compresa tra i 3 e i 4 anni debba trovarsi ancora necessariamente orientata verso la preponderanza dell’immagine e come la porzione scritta debba risultare ancora subalterna.
Prima del compimento del quarto anno di età, un bambino difficilmente si trova in grado di seguire il dipanarsi di una trama complessa, soprattutto in assenza di un supporto visivo che consenta di riconnettere quanto udito a ciò che può agevolmente visualizzare, senza troppi sforzi immaginativi o voli pindarici che potrebbero risultare alla lunga fuorvianti.
Trovandosi la piccola mente di un treenne ancora preda di immagini astratte e concetti privi di forma, il bambino chiede infatti di poter vedere assiduamente tutto ciò che risulterebbe amorfo e poco accessibile sulla base di una semplice narrazione orale.
Proprio grazie al supporto visivo, il piccolo lettore riesce finalmente ad istituire corrispondenze univoche tra parola e concetto e a seguire, seppur a fatica, brevi narrazioni che prevedono l’oggetto, ormai definito, al centro della scena morale ed emotiva.
Per intenderci, se provate a raccontare una breve storia incentrata sulle avventure di un fantomatico orsetto di nome Carlo (o Gianfranco, o quello che preferite voi), senza mostrare al piccolo un’immagine chiara del protagonista, il bimbo passerà buona parte del tempo cercando di dare un volto al personaggio in questione, perdendosi la totalità della narrazione, dato che la sua mente non si trova in grado di assorbire ulteriori nozioni fin quando risulta ancora impegnata a riflettere sulle precedenti.
Se, al contrario, partite subito mostrando al piccolo l’orsetto Carlo e facendo alcuni rapidi test per assicurarvi che il referente sia ormai stato fissato saldamente nella sua testa, il passaggio alla fase successiva (rappresentata da quello che l’orsetto Carlo fa o dice) risulterà molto più agevole, perché non richiederà altre premesse.
Quando acquistate letture per bambini di tre anni o poco più, assicuratevi dunque che l’immagine ricopra un ruolo centrale all’interno dell’albo e rimandate tutte quelle storie un po’ più complesse, che sicuramente non vedete l’ora di leggere, al compimento del quarto anno, quando l’orizzonte semantico e il bagaglio di conoscenze del piccolo muteranno repentinamente.