Last Updated on 31 Ottobre 2018 by Maestra Sara
Classico tra i classici, Nel paese dei mostri selvaggi è forse il libro che meglio ha definito l’immaginario infantile nel corso del secolo scorso e che ha prodotto una quantità di epigoni talmente sterminata da richiedere un apposito genere letterario per contenerli tutti.
Atto fondativo stesso della moderna letteratura di infanzia, Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak è infatti una delle primissime opere per bambini a votarsi verso uno stile iconografico inedito, distantissimo da quello della fiaba classica, e a cogliere a pieno l’essenza stessa del bambino e il suo porsi come tramite tra due dimensioni distinte, lungo un approccio fortemente simbolico.
Oltre ad essere una storia divertentissima, linguisticamente ineccepibile e profondamente avventurosa, Nel paese dei mostri selvaggi è quasi una sorta di manifesto dell’infanzia, che mostra al piccolo lettore e ai suoi genitori la natura intima di un esserino perennemente sospeso tra i mondi creati dalla sua infinita fantasia e la realtà di fatto, popolata da regole, divieti e da un certo grado di subalternità comportamentale.
Esattamente come accade al celeberrimo Albatros di Baudelaire, le cui infinite ali lo rendono in grado di librarsi nei cieli, ma ne ostacolano la marcia sulla terraferma, il bambino di Nel paese dei mostri selvaggi è re del suo mondo fantastico, ma, la sua stessa fantasia lo rende soggetto a piccoli ostacoli e problemi, quando viene espressa tra le mura domestiche.
L’immenso potere creativo del bambino, signore assoluto della sua fantasia, gli permette cioè di costruire interi universi immaginari, all’interno dei quali può ricoprire il ruolo che preferisce e di stabilire in modo arbitrario inizio e fine della finzione.
La medesima fantasia si trasforma tuttavia in un ostacolo quando il bambino tenta di riprodurre le stesse logiche e gli stessi schemi nel mondo reale, andando a cozzare contro la pazienza dei suoi genitori e contro quelle limitazioni fisiche che impediscono logicamente il medesimo sfogo fantastico, reso possibile nel gioco e nella finzione.
Proprio lo sguardo abissale lanciato da Nel paese dei mostri selvaggi ha fatto sì che l’opera si trasformasse in un classico senza tempo, la cui lettura è divenuta quasi una tappa obbligata nel percorso letterario dei bambini, fin dalla prima pubblicazione dell’opera, datata 1963.
Nonostante la “critica ufficiale” (l’espressione mi fa rabbrividire, ma purtroppo esiste anche quella!) avesse inizialmente stroncato Nel paese dei mostri selvaggi, trovandolo troppo tetro e oscuro per i bambini, il testo ha iniziato a propagarsi presso i giovani lettori con una velocità inaudita, imponendo presto alla casa editrice la messa in cantiere di infinite ristampe e nuove edizioni.
Proprio la sua valenza fortemente simbolica, l’impiego di creature aliene dalla tradizione classica e una narrazione incentrata su ciò che il bambino è (e non su ciò che dovrebbe essere) permise al libro di giungere direttamente al cuore dei piccoli destinatari e di portare la sopraccitata “critica” (virgolette dispregiative) a salire sul carro dei vincitori e a rivalutare l’albo in toto.
Nel paese dei mostri selvaggi, un’avventura fantastica nella mente del bimbo
Nel paese dei mostri selvaggi è la storia del piccolo Max che, al pari di numerosi suoi coetanei, si diverte tra le mura di casa indossando un carnevalesco costume da lupo e saltando qua e là come se fosse davvero una fiera selvatica.
Dato che i bambini difficilmente controllano la loro irruenza mentre si trovano intenti a giocare, Max ne combina proverbialmente di tutti i colori, costringendo il cagnolino di casa alla fuga e danneggiando tutto quanto gli capita a tiro.
La mamma, accortasi del marasma, riprende Max definendolo “mostro selvaggio” e richiamandolo all’ordine, ma il bimbo, troppo preso dalla finzione, risponde alla madre minacciandola di sbranarla.
Ormai andata su tutte le furie, la mamma mette in castigo Max, intimandogli di andare in casa sua e di attendere il calar delle tenebre senza che la cena gli sarà servita.
Non appena Max si rintana in camera sua, accade qualcosa di inspiegabile: una foresta comincia a crescere a partire dalle pareti, dando vita ad un universo incantato, comprensivo di un vasto mare e di una barchetta per navigarlo.
Cedendo alle lusinghe della sua fantasia e all’ovvia associazione di idee, Max sale sulla barchetta e inizia a navigare per mesi e mesi (qui il tempo è ovviamente dilatato dalla fantasia del bambino) lungo quello sterminato oceano di possibilità, fino ad approdare nel fatidico paese dei mostri selvaggi.
Una volta sbarcato, Max viene accolto dai mostri selvaggi con numerose manifestazioni di ostilità, consistenti in spaventosi ringhi ed esibizioni di artigli che, tuttavia, non turbano affatto la serenità del bimbo.
Max riporta infatti rapidamente all’ordine i mostri selvaggi proferendo l’espressione “a cuccia” con tanto ardore da intimorire le fiere, ora decise a nominarlo loro re e capo assoluto.
Non appena diventato re dei mostri selvaggi, Max istituisce la ormai celeberrima “ridda selvaggia”; danza tribale piuttosto confusa che vede il bambino e le fiere intenti a dimenarsi con movenze simili a quelle che Max aveva inopportunamente adottato dentro casa.
Terminata la ridda, Max si stufa, manda i mostri selvaggi “a letto senza cena” e rimane solo a pensare al fatto che essere re è una gran cosa, ma lo è anche sentirsi amati da qualcuno che ti conosce a fondo.
Quando il profumo di una pietanza calda giunge alle sue narici, Max decide di riprendere la sua barchetta e di tornare a casa, in sfregio ai mostri selvaggi che, di fronte alla decisione, tornano ad essere minacciosi e di mangiare il bambino.
Dopo aver navigato per oltre un anno, Max giunge nella sua stanza e trova la cena ad aspettarlo, ancora calda e fumante.
Nel paese dei mostri selvaggi, il capostipite dei classici
Davvero unico e inimitabile, Nel paese dei mostri selvaggi ha l’infinito pregio di riuscire a fissare per sempre nella memoria collettiva una serie di archetipi, destinati a venire riprodotti da centinaia di opere successive, e di portare il bambino al centro della narrazione in veste nuova.
Come premesso, Max non rappresenta infatti una sorta di “bambino ideale” o di modello verso il quale protendere, ma è quasi il bambino per antonomasia, mostrato per quello che è davvero e per quello che appare in relazione alla sua infinita fantasia.
Max non apprende cioè alcuna lezione morale nel corso dell’opera, non rimedia al disturbo arrecato e non tenta di cambiarsi o migliorarsi: egli è semplicemente un bambino scisso tra la necessità di dare libero sfogo alla sua fantasia e la volontà di essere amato e compreso dai suoi genitori.
Come tutti i bambini del mondo, il piccolo protagonista di Nel paese dei mostri selvaggi è dunque diviso tra bisogni e necessità spesso in conflitto e si trova a vivere situazioni in cui la sua fantasia lo elegge monarca di universi immaginari, portandolo al contempo ad essere punito per l’eccesso di irruenza mostrato in casa.
Anche da un punto di vista squisitamente visivo, Nel paese dei mostri selvaggi riesce a definire un immaginario assolutamente nuovo (e forse, proprio per questo, inizialmente stroncato), andando ad impiegare uno stilo pittorico inedito e a tratteggiare nuovi personaggi che avrebbero funto da modello per la successiva letteratura per l’infanzia, sempre più modellata sui tremendi (ma simpatici) mostri collocati sull’isola della fantasia di Max.
La scelta operata da Sendak di ideare mostri ex-novo (ispirati alla tradizione Yiddish) e di non ripercorrere gli infiniti sentieri che conducono in direzione di streghe, lupi e vampiri, ha aperto una sorta di Vaso di Pandora della creatività, spingendo i successivi autori per l’infanzia a sbizzarrirsi nella genesi di ulteriori mostri, più o meno riusciti.
Purtroppo, l’immenso successo raggiunto da Nel paese dei mostri selvaggi nel corso dei decenni ha spalancato la strada (oltre che alla sopracitata creatività) anche ad un’infinità di letture critiche basate su svariate prospettive psicologiche e pedagogiche che hanno snaturato la lettura dell’opera e condotto genitori e insegnanti a leggere il libro ai bambini secondo i dettami delle mode del momento.
Capita spesso, infatti, di imbattersi in mamme, maestre e blogger che analizzano l’opera di Sendak come se fosse un testo incentrato: sulla gestione della rabbia; sul rapporto tra genitori e prole, sulle eruzioni emotive tipiche dell’infanzia e su tutto quanto risulti presente nell’agenda di pedagoghi e affini, in base alle esigenze correnti.
Nel paese dei mostri selvaggi non è in realtà nulla di tutto questo: non aiuta a gestire la rabbia; non riconcilia i figli con i genitori e non dice nulla al bambino sul suo universo emotivo; semplicemente mostra al piccolo lettore ciò che egli è davvero, raffigurandolo come un gigantesco albatros, perennemente sospeso tra la monarchia dei cieli immaginari e la difficoltà di piegare le sue splendide ali quando giunge l’ora di cena e non c’è più tempo per volare.
- Editore: Adelphi
- Autore: Maurice Sendak , Lisa Topi
- Collana: I cavoli a merenda
- Formato: Libro rilegato
- Anno: 2018