Last Updated on 14 Novembre 2018 by Maestra Sara
Tanto semplice, quanto geniale, Oh-Oh! di Chirs Haughton è un testo ormai noto in tutto il mondo in virtù della sua capacità di divertire il piccolo lettore attraverso la messa in scena di una serie di bizzarre avventure piuttosto ironiche e paradossali.
Oh-oh! si snoda infatti lungo una serie di malintesi che complicano la ricerca di mamma gufo da parte di un piccolo gufetto, caduto dal suo ramo, e che portano il giovane lettore ad interrogarsi sulle sue reali capacità esplicative e sulla natura dei termini di tipo che definiscono il suo universo sensoriale.
Storia molto simile a “Dov’è la mia mamma?”, seppur rappresentata secondo schemi e canoni estetici del tutto differenti, Oh-Oh! si configura come un duplice viaggio, all’esterno e all’interno della mente del bambino, nel corso del quale, mentre il piccolo cerca la sua mamma, trova se stesso e i suoi riferimenti semantici.
L’avventura che fornisce il movente all’opera non è qui infatti che il pretesto per un ulteriore viaggio, che si snoda nelle abilità del bambino e che mostra al bambino stesso la corretta via per la giusta denotazione degli oggetti ai quali intende riferirsi.
Ideale da leggere in quella fascia di età in cui i bambini hanno sviluppato abilità linguistiche forti, ma che non si trovano ancora in grado di formulare narrazioni strutturate e coerenti, Oh-Oh! si ripropone di ironizzare apertamente sulle lacune esplicative dei più piccoli, aiutandoli, al contempo, a strutturare le loro capacità lessicali secondo un filo logico ben preciso.
In sostanza, un bambino che ha da poco imparato ad esprimersi correttamente, che ha ampliato il suo lessico e che formula ora frasi compiute, tende spesso a perdersi nel mare dei vocaboli e a non esprimere le proprie descrizioni secondo un ordine gerarchico prestabilito.
Un bimbo di quattro anni, cioè, se interrogato sulla natura di un oggetto o di una persona a lui cara, tenderà a sciorinare una serie di attributi in ordine casuale, complicando spesso il processo di comprensione all’ascoltatore.
Tutto questo accade perché i bambini tendono a strutturare il loro universo linguistico intorno a termini forti, chiamati termini di tipo, e faticano a distinguere gli attributi lessicali l’uno dell’altro, dato che dal termine di tipo procede una cascata linguistica indifferenziata.
In caso mi sia spinta troppo oltre, cerco di chiarire il punto della situazione mediante un ulteriore esempio pratico: un adulto (o un bambino di 6 o 7 anni), interrogato sulla natura della sua mamma procederà a definire la genitrice secondo le caratteristiche che ritiene più importanti in ordine gerarchico, definendola “gentile” e “premuorsa” ad esempio e proseguirà offrendo all’ascoltatore tutti quei dettagli (relativi alla professione o alle abitudini) che differenziano la donna da tutte le altre donne del mondo.
Nel bambino molto piccolo, questa gerarchia lessicale si trova ancora del tutto assente, per cui, un ipotetico bimbo di 4 anni sciorinerà una serie di attributi relativi alla sua mamma (“grande”, fornita di due mani e due piedi”, “femmina”) assolutamente inefficaci nel processo di denotazione che definisce “questa” mamma da tutte le altre madri del mondo.
Se provate ora ad immaginare il vostro universo linguistico, lo vedrete come una sorta di scala, che prevede al vertice il termine di tipo (“mamma”) e sui gradini successivi gli attributi che definiscono la parola, collocati in ordine di importanza e univocità.
Il mondo linguistico di un bimbo piccolo assomiglia invece ad un arcipelago, che prevede al centro il termine di tipo (nel nostro caso, sempre “mamma”) e tutt’intorno una serie di isolette della stessa misura, composte da parole come “grande”, “bionda”, “casalinga”, “gentile”.
Per questa ragione, voi riuscirete a fornire un ritratto puntuale della vostra mamma ad un perfetto sconosciuto, mentre un bambino di pochi anni farà fatica a spiegarsi in modo coerente e puntuale, andando a saltare da una metaforica isola all’altra, senza un ordine prestabilito.
Oh-oh! si prende gioco allegramente della lacuna infantile e, al contempo, spinge il piccolo lettore ad ordinare in modo gerarchico tutti quegli attributi che scaturiscono dai termini di tipo (in questo caso “mamma” ) e che si trovano nella sua mente ancora in forma indifferenziata.
Oh-oh!, dov’è la mia mamma?
Oh-oh! è la storia di un gufetto che si trova appollaiato su un ramo in compagnia della sua mamma e che, all’improvviso precipita dall’arbusto, ritrovandosi solo e sperduto nel bel mezzo del bosco.
In suo aiuto giunge uno scoiattolo che, dopo essersi sincerato delle sue condizioni, si propone di aiutarlo nella sua ricerca della mamma, ormai divenuta prioritaria.
Quando lo scoiattolo interroga il gufetto sulla morfologia della sua mamma, ottiene come laconica risposta l’attributo “grande”; parola che il roditore associa immediatamente ad un orso.
Piuttosto deluso dal mancato ritrovamento, il gufetto spiega allora che l’orso non può essere la sua mamma, perché lei ha le orecchie a punta ed inizia così una nuova ricerca.
Lo scoiattolo conduce allora il gufetto presso un coniglio, ottenendo identica delusione e un nuovo attributo, rappresentato dal possesso di occhi grandi e rotondi.
Gli elementi lessicali forniti allo scoiattolo risultano tuttavia ancora insufficienti e il gufetto si trova entro breve in presenza di una rana, in virtù dell’ennesimo fraintendimento tra i due protagonisti.
Per fortuna del gufetto, la rana conosce mamma-gufo ed interrompe così una catena di paradossi che sarebbe potuta durare in eterno, accompagnando il piccolo dalla sua genitrice.
Per riconoscenza, mamma-gufo invita la rana e lo scoiattolo a mangiare biscotti nella loro tana sull’albero; tutti sembrano felici e appagati, quando gufetto si sbilancia e dà l’impressione di ruzzolare nuovamente a terra.
Oh-oh!, un’avventura nel mondo linguistico dei bambini
Come premesso, Oh-oh! è una duplice avventura che consente al piccolo di divertirsi come un matto nel leggere la simpatica vicenda e al genitore di riflettere sull’universo linguistico dei bambini e sul modo in cui i più piccoli strutturano descrizioni e riassunti.
Data la semplicità della trama, Oh-oh! risulta agevolmente fruibile a partire dai tre anni, ma è intorno al quarto anno di età che l’opera acquista il suo senso più pieno, quando il bimbo è ormai in grado di afferrarne l’ironia e di poter “giocare” in allegria con il suo bagaglio linguistico.
Oltre a leggere (e rileggere) il libro ai bambini, Oh-Oh! può infatti agevolmente fungere da base per instaurare con i più piccoli una sorta di gioco linguistico, nel corso del quale cercare di interrogare il lettore riguardo alle incomprensioni generate nella vicenda e invitarlo a denotare a sua volta la sua mamma (o il suo papà) partendo dagli attributi che reputa prioritari e univoci.
Comunque lo si legga, Oh-Oh! resta un libro davvero divertente e in grado di strappare un sorriso ai bambini, sorriso benevolo che magari si trasferirà sul vostro volto nel momento stesso in cui chiederete al piccolo lettore di riassumervi quanto appena udito.