Last Updated on 19 Novembre 2018 by Maestra Sara
In caso abbiate presente (e abbiate amato) il film di Truffaut “Il Ragazzo Selvaggio”, è quasi mio dovere informarvi che Selvaggia, di Emily Hughes, percorre l’identico sentiero narrativo, pervenendo a conclusioni piuttosto simili sulla natura umana e sul concetto di convenzione.
In caso non abbiate mai visto il sopracitato film e la videoteca del vostro paese si trovi inesorabilmente chiusa per nebbia, dimenticatevi del paragone, facciamo un passo indietro e focalizziamoci sull’oggetto del nostro interesse, vale a dire sul meraviglioso libro per bambini.
Apparentemente semplice e legato a vecchissimi topoi letterari (avete presente Il libro della giungla?), Selvaggia è in realtà un libro molto sottile che decostruisce con garbo l’intero universo di convenzioni e rimandi che abbiamo creato per i nostri figli, con l’intento di assumere una posizione apertamente provocatoria e ironica verso l’educazione.
Nel momento stesso in cui ci dedichiamo, con amore e pazienza, ad insegnare qualcosa ai nostri bambini, diamo spesso per assodato che il complesso di regole e convenzioni che trasferiamo loro abbia un valore universale e che le “cose debbano venire fatte così”, perché è così che si fa, punto e basta.
Quando, cioè, spieghiamo ai nostri figli come si sta seduti a tavola, come si gioca a palla prigioniera, come ci si comporta in un supermercato, lo facciamo partendo dall’assunto che prevede l’intero sistema di regole in questione come frutto di qualcosa di assoluto e immutabile e non di una mera convenzione.
In un differente mondo possibile, le medesime regole cessano tuttavia di avere un valore assoluto, senza che il corso degli eventi ne risulti per questo sconvolto o che la nostra natura umana ne risenta da un punto di vista squisitamente antropologico.
Stiamo seduti a tavola in un modo ben preciso perché il complesso di regole che prende il nome di “educazione” ha stabilito così e non perché non potremmo alimentarci altrimenti e lo stesso discorso vale per buona parte del nostro universo convenzionale.
Selvaggia mostra, in modo palesemente provocatorio, cosa accadrebbe in caso il nostro complesso di regole venisse stravolto e come risulterebbe difficile trovare un terreno di intesa tra due (o più soggetti) che hanno ricevuto norme comportamentali diametralmente opposte.
L’artificio letterario legato alla bambina cresciuta dagli animali è qui metafora di un sistema educativo differente da quello che comunemente adottiamo, ma non per questo meno valido dal punto di vista ontologico, dato che la piccola protagonista di Selvaggia risulta empatica e (a suo modo) gentile, anche a fronte della totale mancanza di educazione, intesa in senso classico.
Ovviamente, la lettura di Selvaggia ai bambini non vuole essere un invito all’adozione di comportamenti poco civili e anti-sociali, ma una riflessione sul fatto che buona parte di ciò che tramandiamo ai nostri figli è frutto di convenzioni e scelte arbitrarie, il cui fine esclusivo è quello di trasformare il bambino in un “piccolo cittadino” e di farlo a sentire a suo agio nel contesto sociale nel quale risulta inserito.
Selvaggia, storia di una bimba cresciuta nel bosco
Selvaggia inizia con una bambina neonata che si ritrova nel bosco per imprecisate ragioni e che diventa subito oggetto di cure e attenzioni da parte del regno animale che popola il variopinto ecosistema.
Accade così che gli uccelli insegnino a “parlare” a Selvaggia, che gli orsi le insegnino mangiare, che le volpi le insegnino a giocare, rendendo la bambina autosufficiente e perfettamente felice.
L’equilibrio creatosi viene tuttavia infranto nel momento stesso in cui nel bosco arriva una famiglia umana (percepita da Selvaggia alla stregua di un complesso di “animali strani”) che, in piena noncuranza delle inclinazioni della bimba, si arroga il diritto di portarla con sé e di tentare una civilizzazione forzata.
Una volta estraniata dal suo contesto di riferimento, Selvaggia si sente tuttavia a disagio di fronte a quel nuovo complesso di regole, insegnamenti e attività ludiche che la bambina percepisce come bizzarro, se non addirittura sgradevole.
Dal punto di vista della bambina, tutto quello che fanno gli umani risulta intrinsecamente “sbagliato”, in una sorta di inversione di prospettive, e l’incapacità di Selvaggia di adattarsi alle nuove regole e di comprenderle a fondo rende la piccola protagonista del libro sempre più infelice.
Un bel giorno, Selvaggia decide dunque di fuggire, di tornare nel bosco e, in quel preciso momento, tutti capiscono che quella era la cosa da giusta da fare, tanto per lei, quanto per chi aveva tentato di “domarla” senza successo.
Selvaggia e la civiltà
Una volta spogliato della sua natura simbolica e della sua valenza provocatoria, Selvaggia si trasforma agevolmente in un piccolo elogio della tolleranza e del relativismo, utile a favorire l’armonica crescita sociale del bambino.
Nel momento stesso in cui il giovane lettore apprende infatti come il suo complesso di credenze e comportamenti risulti frutto di scelte arbitrarie, sarà più facile invitare il piccolo a non criticare coloro che, invece, si fanno portatori di altre convinzioni e di altri “modi di fare”.
Proprio in una fase della crescita in cui le poche certezze del bimbo acquistano una sorta di valore assoluto, sarebbe opportuno avviare una riflessione più profonda sulla natura di quelle medesime certezze, di modo da far comprendere al piccolo come esistano spesso modi alternativi di giungere ad una medesima soluzione.
Mangiare con forchetta e coltello, ad esempio, non è preferibile in senso assoluto a mangiare con le proverbiali bacchette cinesi: è semplicemente una convenzione che anima e cementa il nostro contesto sociale, ma non vi è nulla di “sbagliato” in coloro che percorrono una strada differente, sempre a patto che non ledano l’altrui libertà.
Graficamente stupendo, chiaro e magnificamente illustrato, Selvaggia è dunque un piccolo trattato per bambini sul relativismo e il punto di partenza per una riflessione che coinvolge necessariamente anche tutti coloro, genitori in primis, che danno ormai per assodato quanto appreso nel corso degli anni.