Last Updated on 17 Luglio 2018 by Maestra Sara
Voglio un’altra mamma! è uno di quei libri capaci di mettere in fuga i genitori al primo sguardo, complice il sospetto che, sotto sotto, l’opera possa possedere una marcata valenza diseducativa o magari suggerire pessime idee ai nostri piccoli.
La frase del titolo, Voglio un’altra mamma!, rappresenta infatti una sorta di incubo materno ad occhi aperti e, molto probabilmente, il vertice di una hit parade al contrario che comprende i vari “ti odio” come corollario.
Niente paura: Voglio un’altra mamma! non è un testo rivolto ad incentivare la disobbedienza infantile, l’anarchia domestica, la volontà del piccolo di affidarsi ai servizi sociali o il pretesto per uno scambio di coppia dal carattere temporaneo, ma l’esatto contrario.
Il libro illustrato composto da Nadine Robert e Genevieve Godbout mira infatti, da un lato, a mostrare al piccolo lettore il valore delle parole che pronuncia spesso con troppa leggerezza e, dall’altro, a rasserenare le mamme sulla natura delle espressioni che di tanto in tanto si sentono lanciare contro come se fossero coltelli.
Per quanto tutte noi cerchiamo di razionalizzare la cosa, la nostra parte emotiva si trova spesso scossa dalle iperboli infantili e dubito che esista un solo genitore al mondo in grado di rimanere insensibili di fronte a scatti di ira dei piccoli che culminano spesso con frasi come “non ti voglio più bene”, “sei cattiva” o la sopracitata “ti odio”.
Premesso che, ovviamente, i bambini piccoli non conoscono realmente l’impatto delle parole che pronunciano e che una dichiarazione di odio proferita dalle labbra di un quattrenne non ha lo stesso peso di una sua variante adulta, il punto è quello di cercare di capire perché il piccolo si spinge al punto di negare l’amore materno (o paterno) alla prima contrarietà.
Voglio un’altra mamma! alla scoperta delle iperboli infantili
Non appena accede alla sfera del linguaggio in modo compiuto, il bambino va incontro ad una sorta di radicalizzazione manichea dell’espressione orale e cerca di usare termini forti e iperboli per accentuare la sua volontà.
Accade spesso che un bambino di 4 anni o poco più cerchi di esprimere la sua assenza di voglia di andare a scuola attraverso frasi come “voglio restare a casa per tutta la vita”, “non voglio andare a scuola mai più” o “mi fa schifo la scuola”.
Questo accade non perché il bambino voglia realmente trascorrere il resto della sua esistenza tra le mura domestiche o provi reale ribrezzo verso le attività scolastiche, ma perché il piccolo ha compreso che il linguaggio si compone anche di rafforzativi e versioni estreme dello stesso concetto.
Tutto quello che, in un dato momento, interessa al bambino diventa immediatamente “il mio preferito” e tutto ciò che non lo attira diventa automaticamente detestabile, sulla base di una netta distinzione linguistica tra le macro-categorie legate al gradevole e allo sgradevole.
Allo stesso modo, una mamma che ha appena fatto un regalo al suo bimbo viene ricoperta di baci e dichiarazioni d’amore, mentre la stessa mamma, rea di aver posto divieti e paletti, diventa oggetto di odio o dichiarazioni di ostilità.
Tranquille, nemmeno quando vostro figlio vi urla “ti odio” con la veemenza di un ultras alle prese con un derby incandescente, vi sta davvero odiando; è solo il suo modo di rimarcare la sua contrarietà rispetto ad una vostra decisione.
L’espressione “Voglio un’altra mamma!” riesce tuttavia ad andare un attimino oltre il semplice “ti odio” e a portare in dote un ulteriore carico di significati e significanti.
Tutti i genitori del mondo sono infatti costretti a portare la metaforica croce legata a zii, zie, nonni e cugini; i quali offrono al piccolo un semplice assaggio di genitorialità senza doverne pagare i contraltari.
I parenti si approcciano quasi sempre ai bambini con tutto l’entusiasmo del mondo, facendo giocare i bambini, offrendogli doni e chiudendo gli occhi sulle loro mancanze, dato che, non essendo figli loro, non sta a loro educarli e che il loro ruolo si limita ad accattivarsi le loro simpatie.
Nulla contro i parenti, intendiamoci (ci mancherebbe altro!), ma questa situazione porta spesso il bimbo a postulare che, magari, starebbe meglio con un’altra mamma e con un altro papà, dal momento che il resto della cerchia affettiva familiare se ne guarda bene dal porre divieti o restrizioni di sorta alla sua libertà di esprimersi.
Sta dunque a noi cercare di spiegare al bambino l’essenza della genitorialità e fargli capire la differenza che intercorre tra mamma e papà e il resto del mondo, facendo riferimento ad esempi e spiegazioni chiare che possano fargli capire la duplice valenza di oneri e onori che ci sono toccati in dote.
Voglio un’altra mamma! (del quale mi stavo quasi dimenticando, presa da discorso, chiedo scusa) realizza questo obiettivo alla perfezione, mostrando al piccolo protagonista del libro uno scenario privo della sua adorata mamma e tutte le implicazioni, logiche e morali, della sua iperbolica sentenza.
Voglio un’altra mamma! Ne sei davvero sicuro?
Voglio un’altra mamma! è la storia di un bambino di cinque anni, di nome Joseph Fipps, che si trova a vivere una sorta di contrasto perenne con sua mamma, dovuto al fatto che lei lo rimprovera spesso e che impiega sovente espressioni come “razza di Testone” che rendono il piccolo furibondo e desideroso di sfidare ancor più l’autorità genitoriale.
Joseph è un bambino animato da profonda fantasia che vorrebbe venire considerato un grifone e (non un testone) e che crede di essere ormai abbastanza “vissuto” per ricevere in dono quella libertà avventurosa che invoca e che sogna in tutte le sue imprese immaginarie.
Come ampiamente prevedibile dal titolo dell’opera, un bel giorno, Joseph pronuncia la fatidica espressione: Voglio un’altra mamma! dando il la ad una serie di eventi destinati a sconvolgere la concezione che il bambino ha di sé stesso e del rapporto che lo lega alla madre.
Importante sottolineare come l’albo si apra con una sezione completamente “muta”, volta a descrivere le gesta del piccolo e come il nucleo familiare, in questo specifico caso, si schieri in toto dalla parte della mamma, rendendo la futura richiesta di Joseph frutto di un’idea astratta e non di un paragone reale e, forse per questo, più facile da gestire.
Sostanzialmente imperturbabile, la mamma gli risponde infatti di conoscere una nuova ipotetica madre che fa al caso suo, vale a dire, una mamma tricheco che dimora nei mari artici.
Volando sulle consuete ali della fantasia, Joseph giunge realmente a misurarsi con la suddetta nuova mamma, comprendendo rapidamente la sua vera natura di bambino (e non di grifone) e l’impossibilità di sostituire al sua vera mamma con una serie di ipotesi tratte dal suo universo fantastico.
Guidato nuovamente a casa da una dimensione puramente sensoriale, Joseph riuscirà a sfuggire infine dal freddo polare e trovare conforto nel metaforico calore dell’abbraccio materno.
Ovviamente ammantata dal lieto fine e dalla ricostruzione del rapporto tra i due protagonisti, la stupenda storia risulta risulta interamente composta da una sapiente alternanza tra parola scritta e “silenzio”, quasi a voler sottolineare l’importanza del valore dell’espressione verbale e la sua necessità di centellinare iperboli ed esagerazioni.
Dedicato a tutti quei bambini alle prese con paragoni scomodi e iperboli linguistiche decisamente manichee e a tutte quelle mamme che si sentono ferite dal linguaggio del piccolo, Voglio un’altra mamma! non è sicuramente un libro dal quale fuggire, ma un’opera da leggere e rileggere fino a comprendere il reale valore del linguaggio.